Dopo che l'8a
Armata britannica comandata dal generale Montgomery ha assicurato il
controllo della città adriatica di Termoli lo scorso 6 ottobre,
l'esercito canadese ha occupato ieri, 14 ottobre 1943, il capoluogo
Campobasso, immediatamente ribattezzato da locali e militari Canada
Town. Le truppe tedesche sono quindi arretrate lungo le tre linee
ritardatrici preparate dal generale Kesselring: la linea Viktor, la
linea Barbara e la linea Bernhard. Nei prossimi giorni l'esercito
canadese riprenderà la sua marcia verso nord, incrociando la più a
meridione delle tre linee, la Viktor, che permette ai tedeschi di
controllare la valle del Biferno da ambo i versanti. La prossima
postazione che gli Alleati dovranno conquistare è dunque quella di
Oratino.
Un sole fuori stagione riscalda l'aria. La polvere è nebbia, la
strada, il ciglio, l'erba, si confondono, i colori sfumano. Foglie
gialle e rosse volano, la mano alza un grappolo d'uva: viola. Una
macchia viva di viola. Una voce parla, mio padre si rivolge a mio
zio, ma non riesco a sentire, sono troppo lontano, gli vado incontro,
cammino ma non mi muovo. Il carro invece avanza, distinguo l'asino, e
il viola è sempre più forte, distinguo i grappoli, acino per acino.
Vedo anche il volto di mio padre, ma è solo un istante. Esplosione.
Raglia, colpisce la polvere si tinge di viola. Sangue. Frantumi. Mio
padre si avvicina, difforme, soffre, si regge le viscere nelle mani,
viola, l'uva, mio zio, l'asino, una gamba, il volto di mio padre e
ancora il viola. Mi sveglio.
Supplica
Mia madre mi guarda. Ha capito che ho fatto ancora una volta lo
stesso incubo. Non dice niente e si volta. Mi alzo dalla branda senza
fare rumore e senza parlare per non svegliare mia sorella. Mi vesto
ed esco dalla stanza adiacente alla stalla in cui ci siamo sistemati
nell'autunno del 1943, l'unico rimedio per non dormire direttamente
con le bestie. Gesù sarà stato pure riscaldato dal loro alito, ma
il letame puzza e a me basta doverlo spostare tutte le mattine. Mia
madre prepara la colazione e divide il latte in due porzioni, per me
e mia sorella: la tazza è piena quasi a metà, aggiunge una punta
d'orzo e il bianco si sporca. Una crosta di pane.
Sello il cavallo che mi ha prestato Giovannino e parto. Devono essere
quasi le sette di mattina, mi metto in cammino. Gli uffici aprono
alle otto e devo essere il primo ad entrare. La strada è lunga, il
cavallo non ce la fa, piano, s'è raccomandato Giovannino, piano
piano. Ho tutto il tempo per ripensare al mio incubo e per
ricostruire una volta in più tutti i dettagli di quella scena a cui
non ho mai assistito. Mi chiedo se il sogno di questa notte è
identico al primo che ho fatto, anni fa. Mi chiedo se riuscirò mai a
capire la voce di mio padre.
Lo stesso viola, la stessa uva. La vendemmia è finita.
Da casa agli uffici di Campobasso sono circa 20 i chilometri da
percorrere. Con il cavallo di Giovannino è meglio non avventurarsi
per le scorciatoie scoscese. Grazie a Dio, me l'ha prestato, per
andare a prendere la perizia e il responso. Dopodiché, pare che ci
vogliano circa due mesi per ricevere i soldi e sarà già inverno. I
lavori di ristrutturazione della casa non potranno cominciare prima
della primavera prossima, 1950. Un altro inverno in mezzo alla paglia
e al letame, mia sorella è più grande e lo sciroppo del medico
Randalli è un buon antidoto contro la bronchite. Dovremmo resistere.
L'ingegnere Guacci mi viene incontro. Suona il clacson e alza il
mento per salutarmi. La sua Fiat Giardiniera va veloce, dice che da
casa sua alla centrale ci mette solo 20 minuti. Se l'è comprata
l'anno scorso, nuova di zecca. Trenta milioni. Trenta milioni gli
hanno dato all'ingegnere. La centrale idroelettrica ha subito
ingentissimi danni, diceva il banditore. Trenta milioni, distribuiti
a rate di 500 mila lire al mese, salvo la prima e l'ultima rata, di 1
milione di lire. Al bar ci sventolò davanti al naso la relazione
della Direzione Generale Danni di Guerra. Poi si presentò con la
Giardiniera, la prima macchina che molti di noi in paese vedevano.
Il cavallo di Giovannino è lento. Neanche un milione, neanche un
milione mi basterebbe. Rimettere in piedi il primo piano, ricomprare
i mobili, poterci andare a vivere. E poi comprare due animali, ché
la vacca fa sempre meno latte, le galline e le pecore sono vecchie e
poche. Cinque polli ci portò via il tedesco. E quando vennero i
canadesi, siccome ci avevano liberato, si fecero preparare dei pranzi
ricchi di carne, quella che a me mi serviva per un anno. Un maiale.
Da prima della guerra non abbiamo un maiale. Serve un nuovo vitigno,
devo finire di riassestare la terra, che ancora ha alcuni crateri e
le schegge escono quando zappo, ripiantare degli ulivi e aspettare
anni prima che diano frutti. Mamma, resisti fino all'olio nuovo.
Sopporta
L'usciere mi accoglie. Chiedo dell'ingegnere Sestito, capo della
sezione V, “c'è, c'è, si sieda aspetti qui, poi la chiamo”.
Sparisce. Aspetto circa mezz'ora, la gente passa, entra negli uffici,
poi riesce, gira nell'altro corridoio. Dell'usciere nessuna traccia.
Entro nell'ufficio più vicino, riconosco l'ingegnere, mi saluta e
sorride.
Tutto pronto, è tutto pronto, mi dice. Comincia a cercare nelle
scartoffie, tira fuori una cartella enorme, poi un fascicolo più
piccolo, lo apre, sfoglia, si lecca le dita, sfoglia, “Tirabassi
Eugenio fu Pasquale, giusto?”. Dico di sì, piano. Mi porge il
foglio sorridente e dice “ecco qua”, lasciandomi il privilegio di
scartare il pacco. Ci sono molte cose scritte. Individuo il mio nome
e giro le pagine in cerca delle cifre. In fondo, leggo “TOTALE
RISARCIMENTO 18.800”. Ingegnere, io ne avevo chiesti 700.740.
Quanti soldi mi hanno dato? C'è scritto, dice, quella là è la
somma. Qualcosa non va, chiedo spiegazioni. C'è tutto scritto, mi
dice, legga il resto. Ho fatto la terza elementare ingegnè, se leggo
io ci spicciamo domani mattina, che ci sta scritto qua?
Ho letto bene, mi
dice. 18.800. Poi legge: “...la
rifinitura è discreta mentre lo stato di manutenzione è cattivo. A
seguito dell'occupazione il fabbricato subì danni alla muratura
esterna, agli intonaci interni, ai pavimenti e a porzioni del tetto a
due falde con tegole marsigliesi. All'atto del sopralluogo oltre ai
predetti danni erano visibili anche quelli derivanti dallo stato di
abbandono dell'immobile con le relative conseguenze dovute agli
agenti atmosferici. La differenza in meno di lire 681.940 tra
l'indennizzo richiesto ed il peritato è dovuta: alla quota d'uso non
considerata nella parte”.
Che significa?
“Che lo Stato
risarcisce soltanto i danni di guerra. La sua casa è in cattive
condizioni non solo per cause belliche, ma anche per cause
manutentive non adeguatamente effettuate, mi segue? Quindi lo Stato
non le paga sostanzialmente la manutenzione che è compito suo
effettuare, ma soltanto il sinistro che tedeschi, canadesi e
compagnia hanno arrecato alla sua proprietà, mi capisce?”.
Non capisco. Sto zitto. Poi protesto. Lui mi chiede se deve rileggere
la relazione. Manutenzione. Penso. Ho capito bene. Poi urlo.
Manutenzione. Quale manutenzione? Dormiamo nella stalla dal '43,
ingegnè, so' sei anni, perché i cannoni hanno abbattuto il tetto e
i muri del primo piano, manutenzione? Intonaci? Ingegnè, voi l'avete
visto come stiamo, voi siete venuto, che manutenzione, ingegnè, che
manutenzione?
Dice di stare tranquillo, non agitarmi, siamo in un ufficio pubblico.
Non dipende da lui, lui è solo un impiegato d'ufficio, non dipendono
da lui le perizie. È il geometra, il perito, poi c'è non so chi,
che valuta, i valori. Provo ad arrabbiarmi ancora. Non c'è niente da
fare. Con chi posso andare a parlare? Nessuno, la guerra è finita da
cinque anni quasi, le pratiche vanno smaltite, quelle chiuse sono
chiuse.
Non ho effettuato la manutenzione. Il cavallo di Giovannino è lento.
Al ritorno ancora di più. La manutenzione. Chiedo al cavallo un
altro sforzo, torno indietro, verso Sestito.
Pentiti
Quando il demonio ti tenta, tu non devi cedere così, devi resistere,
Eugè, resistere di fronte alla tentazione del peccato. Lo vedi, che
poi, a che ti è servito? Sono dovuto andare a parlare con l'ingegner
Sestito e pregarlo di tacere la cosa, non spargere denuncia, niente.
Cosa ci insegna il Signore? L'altra guancia... Eugenio, tu sei stato
superbo, hai preteso di poter risolvere i tuoi problemi con la sola
forza dei tuoi atti, dei tuoi gesti. Hai pensato solo a te stesso,
solo alle tue difficoltà. Per fortuna l'ingegnere non s'è fatto
male. Aggressione a un pubblico, a un, a un impiegato insomma. Ti
mandavano in galera, se volevano, Eugè. Pure “buon lavoro” gli
hai detto, uscendo, dopo che gli hai distrutto l'ufficio. E meno male
che ci sto io, ché se no la galera non te la toglieva nessuno, Eugè.
Ora ti assolverò anche dalle pene dell'inferno, ma tu devi pentirti
sinceramente e profondamente Eugenio, contrito devi essere di fronte
allo sguardo del Signore, che ti ha messo alla prova e che tu hai
osato sfidarlo.
Padre, voi c'avete ragione, sono pure pentito e ho chiesto scusa
all'ingegnere come voi mi avete detto, perché è una brava persona
che fa soltanto il suo mestiere. Non mi sono controllato. Ma io che
posso farci? Se voi vivete da sei anni in una stalla, con
tutta la vostra famiglia, e poi vi dicono che i soldi non ce li
dovete avere, ma voi che facevate?
Per ogni porta che si chiude il Signore ne apre un'altra. Tu volevi
scegliere il cammino più facile, il Signore invece ti ha messo alla
prova e adesso ti dà un'altra possibilità. Senti a me. Io sto
facendo in questi giorni la richiesta per il risarcimento danni di
guerra. È un poco tardi, ma ancora si possono presentare le domande.
I danni non si vedono tanto, ma ce ne sono stati, e pure tanti. Però,
proprio perché non si vedono tanto i danni, la relazione che ho
proposto al Genio Civile... diciamo che ci stanno un po' di cose che
invece stanno ancora qua, altre che sono veramente sparite, e così
via. Quei canadesi sono protestanti e non appena hanno visto un poco
d'oro qua dentro si sono messi tutto nelle tasche. E questa
profanazione va risarcita, nel nome del Signore. Però servono un
poco di testimoni. Qualcheduno già ci sta, mò se tu vuoi
partecipare, io sempre ti posso dare poi una mano a rimettere
qualcosa a posto, possiamo comprare un poco di materiale per la casa,
e poi vediamo.
Quanto chiedete, padre Nicò?
Ma tu ci vieni a testimoniare?
Io ci vengo, ma voi quanto chiedete?
Un milione.
E a me quanto mi date?
Dieci mila?
Padre, ma io con dieci mila lire non ci compro neanche i mattoni!
Facciamo venti mila lire, Eugè. E poi, vi ho mai fatto mancare
qualcosa? Lo sai che quando hai qualche problema, io qua ci sto
sempre, e se non era per me adesso stavi in carcere e tua madre e tua
sorella in mezzo al freddo le avevi lasciate, per chissà quanto
tempo.
Non dire falsa testimonianza
Dopo l'assoluzione, padre Nicola portò Eugenio in sagrestia. Gli
porse la richiesta di risarcimento danni. Disse: “Firma qua”.
Eugenio chiese di leggerla prima di firmare, ma il sacerdote
insistette, “firma, mò te la leggo!”.
Il sottoscritto sacerdote Nicola Iafelice di Felice residente in
Oratino Via Regina Mergherita nella qualità di parroco in Oratino
chiede di essere indennizzato della somma di L. 922.500 quale
ammontare degli oggetti asportati, depredati o distrutti ad opera
delle truppe canadesi.
Poi ci sta tutta la descrizione degli oggetti e
poi la dichiarazione dei testimoni: Noi
sottoscritti testimoni, maggiorenni muniti degli altri requisiti di
legge e non interessati alla domanda; tenuta importanza della prova
testimoniale che con il presente atto rendiamo, nonché con il
vincolo religioso che in tal guisa contraiamo davanti a Dio
sull'obbligo di dire la verità; tenute presenti altresì le pene
severe che la legge commina ai testimoni falsi o reticenti; sotto il
vincolo del giuramento che noi prestiamo innanzi a Dio di dire la
verità e null'altro che la verità: affermiamo essere vero notorio e
a nostra personale conoscenza che tutto quanto è contenuto
dichiarato nella domanda medesima ed allegato elenco, risponde in
ogni sua parte a verità. Firme dei testimoni, Oratino lì 4 novembre
1949. Poi, se vengono a chiedervi
qualcosa a voi testimoni, gli dite che tutto quello che c'è scritto sulla
dichiarazione è vero, che non potete ricordarvi tutta la
dichiarazione per filo e per segno, ma che mancavano armadio, statue,
urne in ottone e in argento, organo, ostensorio in argento, labaro,
tunicelle, panche, piviale, vesti della madonna, eccetera eccetera.
Mò, domenica, dopo la messa della sera, tu vieni e ci aiuti a
spostare le cose che stanno ancora qua, così le mettiamo nella
cripta. Lunedì o martedì viene il controllo, una
formalità, ma
non ci deve stare niente.
Guadagnati il paradiso
L'ispettore non si degnò nemmeno di andare a trovare Eugenio. Parlò
solo con padre Nicola. Gli era puzzata, a quelli del Genio Civile,
questa storia di un risarcimento tardivo, troppo tardivo e con una
somma così ingente; il primo controllo non gli era bastato e un accertamento ulteriore si rese necessario.
Padre Nicola assolse Eugenio dai suoi peccati e anche dalle sue colpe
sociali e civili: gli presentò una seconda testimonianza già concordata
con l'ispettore, firmata e approvata. Mancava solo la firma di
Eugenio, che attraverso quel verbale proferiva parola, parola che il
prete e l'ispettore avevano sapientemente stilato per lui. Che faccia
avrà questo ispettore? Quanto gli darà padre Nicola? Ventimila? Di
più, un ispettore vale più di un contadino.
Eugenio reiterava l'elenco dei furti e dei malfatti perpetrati dai
soldati. Rinforzava la tesi del padre e anche quella dell'ispettore.
“Eugenio, con questa pratica risolviamo tutti quanti i tuoi
problemi. C'è stata quest'altra formalità, ma andrà tutto bene. Vedrai che quest'estate al più tardi prendiamo i soldi”.
Credi
Padre Nicò, i soldi del mio rimborso sono già finiti. Ho pigliato i
soldi a maggio, ho fatto due mesi di lavoro e sto come prima. Se non
copro il primo piano subito, ci viene a piovere dentro e stiamo punto
e a capo. Intanto la terra va lavorata, ché sennò non dà niente.
Sono venuto a chiedervi i soldi del risarcimento della chiesa, padre
Nicò.
Figlio mio, tu vuoi i soldi del risarcimento prima che me li hanno
dati?! Qua in paese facciamo la fame tutti quanti e tu vuoi venti
mila lire così, tutti di un colpo?
Un anticipo...
Ma io non ce li ho figlio mio. Già i funerali a tua madre li abbiamo
fatti così. Lo sai i tuoi compaesani quanto danno alla parrocchia
per i funerali di un caro?! A te non ti ho chiesto niente. Mò, abbi
pazienza, ché quando arrivano i soldi te li porto io.
Ama il prossimo tuo
Chicken, chicken, meats and milk.
Era freddo e grigio. Diametro, mi pareva un centimetro. Parlava
americano e io non capivo. Altri cinque soldati giravano intorno, il
ferro premeva sulla guancia, era freddo. Mia madre affianco, mia
sorella nella stalla strillava. C'era un soldato in meno e il ferro
premeva sulla guancia. Mia madre piangeva, io mi sono pisciato
addosso. Chicken. Mi hanno detto che significa pollo in americano. E
infatti presero i polli e se li fecero ammazzare da mia madre. Kill.
I giorni successivi, hanno voluto il vitello e ogni sera mia sorella.
La casa era calda e la legna già scarsa, troppo scarsa per il mese
di ottobre. Poi sono venuti a cercarli e sono ripartiti per fare la
guerra. Intanto mia sorella aveva voglia di ammazzarsi e ha resistito
solamente per l'affetto di mia madre. Tutti dovevamo adesso
resistere, resistere ancora per non crepare sotto le bombe, sotto il
freddo, sotto la fame.
Sospetta
Secondo Giovannino, padre Nicola ha ricevuto i soldi. E noi testimoni
non ne sappiamo nulla. Non ci ha chiamato. Giovannino dice pure che
ne è sicuro, che ha visto la posta di padre Nicola e che c'era la
lettera del Genio e che qualche giorno dopo padre Nicola è andato
all'ufficio postale per ritirare i soldi. E non ci ha pagato. Secondo
Giovannino non è giusto. Non è giusto. Io non resisto più, sta
arrivando l'inverno, mia sorella è muta e malata. La casa sta
diventando una tomba scoperchiata.
Espia
Il giudice Galli si era guadagnato subito la fama che meritava.
Quella del castigatore. E infatti andò a trovare Eugenio, lui. Si
presentò con un pastrano beige, dei pantaloni stirati con la piega.
Una persona a modo, che si tolse il borsalino entrando in casa.
Eugenio lo imitò e si tolse la sua coppola, per rispetto. Quindi il
giudice gli spiegò che la pratica di padre Nicola era stata riaperta
a risarcimento avvenuto. In effetti, il giudice l'aveva fatta
scivolare nei suoi fascicoli, diffidando del lavoro del Genio. “Lei
capirà, signor Tirabassi, dopo la fine della guerra ci sono stati
numerosi tentativi di truffa da parte di chi presentava delle
richieste di risarcimento. Nella sua regione, il Molise, si sono
registrate delle anomalie e sembra che le richieste complessive dei
molisani abbiano oltrepassato il patrimonio presente in regione...”
Il giudice mosse leggermente la sua bocca e accennò quello che
poteva sembrare un sorriso. Ma non lo era. Il giudice amava
semplicemente fare delle pause durante i suoi discorsi e
interrogatori, un modo come un altro di mettere sotto pressione
l'interlocutore debole, impressionato da una persona così distaccata
e cinica, che può condannare con il tono della noia quotidiana,
della routine morbosa. “Insomma, al governo qualcuno ha storto il
naso di fronte a questa esagerazione. Deve sapere che a chi legifera
nei palazzi romani sta bene che si rubi, purché si rubi con decenza
e nel rispetto di certi limiti. Il mio ruolo è proprio questo:
ristabilire il limite. Rivalutare le pratiche ormai chiuse e
pagate... Ha un bicchiere di latte?” Eugenio si alzò, chiamò la
sorella, il giudice la guardò e ricevette il bicchiere sfiorandole
le mani. “Dopo questo preambolo, lei avrà forse capito qual è il
motivo della mia visita. La pratica per il risarcimento danni alla
parrocchia, in cui lei si è costituito testimone, fa parte di quelle
controllate da me e dai miei uomini. Il parroco, padre Nicola, ha
chiesto quasi un milione di lire cinque anni dopo la fine della
guerra. È evidente che una tale incongruità ha attirato la mia
attenzione. È stato un po' ingenuo, da parte di questo parroco,
poter pensare che la sua richiesta passasse inosservata. E mettiamoci
anche che gli organi dello Stato sono stati particolarmente clementi
nei confronti di quelli ecclesiastici e che i vescovi ci hanno già
interpellato affinché non si facciano scandali, ma... capisce?”
“Padre Nicola non è un ladro, signor Giudice.”
“Sono d'accordo. La guerra è stata dura. E per
questo abbiamo tutti diritto a un'esistenza e un futuro migliore. È
questo il senso della democrazia. Lei stesso ha usufruito degli aiuti
dello stato per ricostruire la sua casa, i cui lavori mi sembrano
bene avanzati d'altronde e me ne
complimento con lei. Ma, vede, il principio
della democrazia è anche che ognuno abbia un po' e che non ci siano
alcuni che abbiano troppo. Ecco, padre Nicola vuole troppo, troppo,
al di là del limite della decenza...” Il giudice guardò Eugenio
negli occhi per persuaderlo e, insieme, imporre la sua impavida
autorità. “Una buona parte degli oggetti che le truppe alleate
avrebbero portato via dalla chiesa non sono mai esistiti e infatti
non figurano negli inventari della parrocchia, che pure sono
dettagliati. Oggetti, peraltro, di cui difficilmente un fedele
potrebbe testimoniare l'esistenza. Lei ha mai realmente constatato,
prima della guerra, l'esistenza di un calice d'oro chiuso
nell'armadio della sagrestia? E del piviale? Lei sa cos'è un
piviale, signor Tirabassi?” Silenzio, come un allievo di fronte al
maestro. “Mi scusi, non voglio metterla in difficoltà... Lei
conosce i comandamenti? Ce n'è uno, mi sembra, che recita “Non
dire falsa testimonianza”. È l'ottavo, credo. Ecco, la invito ad
estendere questo comandamento anche alle dichiarazioni ufficiali, in
cui la falsa testimonianza è un peccato, nella stessa maniera. Solo
che invece di “peccato” noi giudici amiamo usare la parola
“reato”. E le pene non le infligge Dio per l'oltretomba, ma noi
giudici per questa vita. Le assicuro che le pene inflitte da noi
giudici non hanno niente da invidiare in
efficacità a quelle divine, signor
Tirabassi.” E prima dei saluti: “Quanto vale la sua parola?
Quanto è costata la sua testimonianza?”
“Niente.”
“Spero almeno che non sia vero. Comunque
noi abbiamo deciso di riprenderci i soldi che il suo parroco ha
rubato. Ora, lei può scegliere: o ci aiuta, confessando di essere
stato corrotto, e in tal caso io la lascio in santa pace senza
mettere le mani sui soldi che il prete le
ha dato; oppure resiste alla nostra azione,
continua a mentire per difendere il parroco, e in tal caso la porto
in tribunale per aver dichiarato il falso e ci riprendiamo anche i
soldi.”
“Ma io quei soldi non ce li ho.”
Resisti
I passi di un cane, l'odore del fumo dei camini,
la luce tenue dei lampioni. Le scarpe scivolano sulla pietra umida,
bagnata, annebbiata la mente pensa a quello che c'è da fare,
stasera, in questo paese bianco, bianco immacolato, bianco bagnato
cerco angoli d'ombra, nessuno per strada, solo sento freddo, umido e
il rumore dei passi di cane, il cane della panettiera, sta per girare
l'angolo, scivola la pietra bagnata, ecco Giovannino, ha la sciarpa
di sempre, un cappotto, gli occhi cattivi, vedo la mia rabbia nella
sua, pure lui vuole i soldi, pure lui ha testimoniato, pure lui ha la
faccia scavata, la nebbia ci separa. Michele Fatica sta schiattando,
a domani non ci arriva e padre Nicola è andato a
casa sua per l'estrema unzione. Andiamo,
quello che dobbiamo fare.
Il vicolo è stretto e l'odore dei camini s'incanala, l'umido
attreversa i cappotti. Ho la testa bassa, i passi corti e veloci si
dirigono verso la casa parrocchiale. Giovannino apre il cappotto,
prende il piede di porco, sfonda il portone, poi richiude. Siamo
dentro. La luce della notte illumina appena l'ingresso, poi le scale
e il piano superiore. Non ci ero mai venuto, in casa di padre Nicola.
Il confessionale, le navate, la cripta. Mai la casa. Sono deluso
dall'odore di questa casa: né d'incenso, né di cera, né di fiori,
né di ostia. Odore di una casa, triste, unicamente una casa.
Giovannino è deciso, ha fretta, le sue mani spostano i mobili
scoprono angoli della stanza da letto del prete e il letto. Sotto il
letto, guarda sotto il letto mi ordina Giovannino e io guardo nel
comodino: sopra: una Bibbia, sotto, dietro un Vangelo: un foglio
illustrato con una donna sopra, un vestito stringe i seni, le braccia
nude alzate sopra la testa, sorride e mi guarda bionda, dice “Rita
Hayworth in Gilda”, Giovannino guarda la donna ride e si eccita
padre Nicola guardando questo foglio, si masturba. “Sbrigati,”
dice Giovannino. Sbrigati. Ancora non troviamo i soldi. Strappa il
foglio e il corpo della donna è in mille pezzi, non ha più niente
di erotico, è solo carta. Tutto è
sottosopra, poi un rumore e ancora nessuna
traccia dei soldi. Apre la porta, poi
niente, si ferma e riparte piano, accende una luce all'ingresso,
aspetta e grida “chi c'è?”, ci guardiamo, entra, ha afferrato
qualcosa, sale le scale e ci guardiamo io e Giovannino va verso la
finestra sale sul davanzale si guarda intorno cerca un appiglio poi
scivola via nella nebbia e non lo vedo più a
Giovannino, sono solo, padre Nicola entra
in stanza, tutto è per terra, mi vede, si stupisce, forse, “che
fai? che cerchi?” mi guarda, lo guardo, ho vergogna, ha un bastone
in mano, quello che devo fare,
comincia a picchiarmi, il piede di porco, lo prendo, rapido, le
tempie, il cranio produce un rumore deciso quando si frantuma. Sangue
schizza rosso, viola, colpisco ancora, più volte, sento una voce, la
sua che rantola e non dice nulla, soffre questo prete che sto
provando piacere ad ammazzare. Il pavimento è sporco e appiccicoso
di mosto violaceo, come nel mio incubo,
come il sangue di chi non ha resistito all'urto di questa guerra che
state conducendo contro di noi, contro la povera gente come noi, un
mosto violaceo che ha un gusto dolce, più dolce dei miei incubi, la
dolcezza che sto gustando nell'ammazzare questo ricco prete, padrone
della mia anima. Muori. Cerco i soldi su di lui, nelle mutande il
mazzo di banconote odorano del suo pene e vado via, il viso di Rita
Hayworth è straziato, strappato, difforme. Vado verso la finestra,
seguo il percorso di Giovannino. Verso casa.
Racconto (molto) liberamente immaginato a
partire dal libro Oratino
nella Seconda Guerra mondiale di
Roberto Colella.