Oltre un anno fa visitavo la città di Arezzo e rimasi stupito dal
numero di piazze e piazzette presenti in città. Mi dissi anche che
lo sviluppo delle città toscane durante il Basso Medioevo doveva
essere legato in qualche modo a questo spazio, la piazza, che
permetteva alle persone di realizzare delle attività sociali (dal
lavoro al loisir) insieme, in comunità.
Ultimamente sono stato in Messico e il tema della
piazza come spazio pubblico mi ha interrogato di nuovo, sin dal primo
giorno trascorso nella capitale, il DF, come la
chiamano i messicani. Il cuore politico e culturale della città e
della repubblica messicana si trova nel Zócalo,
la terza piazza più grande del mondo, circondata dal Palacio del
Gobierno, dal Palacio Nacional e dalla Catedral. Questo spazio è
intimamente legato all'identità del paese. El Zócalo
è il simbolo del Messico e del popolo
messicano e – la cosa più interessante –
in quanto tale appartiene al popolo, alla gente. Certo, sui lati ci
sono le istituzioni, temporali e spirituali,
ma la piazza appartiene al popolo.
La piazza come oggetto di lotta
Ed è per questo carattere simbolico che El Zócalo
si trova oggi al centro di conflitti e contese. Infatti, i messicani
si stanno mobilitando fortemente in questo periodo. Il partito al
potere (Partito Rivoluzionario Istituzionale – PRI; pardon per
l'ossimoro) sta infatti varando alcune importanti riforme come quella
sulla liberalizzazione delle fonti energetiche (il petrolio dovrebbe
passare dalle mani dello Stato a quelle dei privati, da quanto ho
capito) o come quella del sistema educativo (che anche si ispira alle
più recenti riforme europee di spirito neoliberista). Ma i messicani
non ci stanno e los maestros
in particolare hanno deciso di protestare e mettersi in sciopero da
ben tre
mesi (italiano medio, rileggi bene quest'ultima frase: tre
mesi, non tre
ore). E ovviamente il centro dalla protesta era El Zócalo,
occupato. La cosa ha piccato il governo che non si è fatto troppi
problemi ad usare le maniere forti. Botte, botte, botte. Di quelle
che fanno male. Dandogliele e dandogliele hanno cacciato i maestri
dalla piazza (parliamo
dei mesi di settembre-ottobre).
Intanto degli
uragani stavano per portare la catastrofe sulle coste messicane, ma
il governo, intento a reprimere e reprimere, si è – come dire –
distratto, sottovalutando i rischi e dimenticando di mettere in atto
delle strategie di prevenzione dei danni, che sono stati enormi.
Vista la catastrofe, un grande movimento di solidarietà ha
attraversato la nazione e il governo ne ha approfittato con una nuova
idea: El Zócalo
sarà il centro di questa solidarietà e la base per la raccolta di
indumenti, viveri eccetera per le popolaizoni colpite dal cataclisma.
Per
los maestros,
evidentemente, non c'è più posto.
Il governo ha
riconquistato così la piazza, momentaneamente. Infatti, nel Zócalo
era previsto anche un altro evento, la Feria
del Libro.
Per paura di mollare l'osso, il PRI ha deciso di annullare la Feria
per lasciar spazio alla raccolta. Mica male l'idea, che vorrebbe
mettere in scacco los maestreos:
voler riconquistare El Zócalo
avrebbe significato contrastare l'opera di beneficienza messa in atto
dal governo.
La voce degli scrittori messicani, come quella di Paco Ignacio Taibo
II, si è alzata per dirgliene quattro a quelli lì del governo,
obbligandoli a spostare il centro di raccolta in un altro degli
immensi spazio della capitale e riconquistando la piazza (degli
scrittori che obbligano il governo a ritirare una decisione, che
roba!).
Il risultato è
che l'inizio della Feria
è più o meno coinciso con il mio (nostro, non ero solo) arrivo in
Messico. L'atmosfera di una domenica pomeriggio era positiva:
tantissima gente, di tutte le età e classi sociali, si aggirava tra
i numerosissimi stand di varie case editrici. In più, diversi forum
erano organizzati. I dibattiti erano avvincenti. Niente a che vedere
con i melensi, noiosi e autoreferenziali festival del libro europei.
Già, perché lo scopo principale (e condiviso) di quei dibattiti era
di esprimere solidarietà a los
maestros
e specificare bene che la
feria
non stava sottraendo loro uno spazio, ma lo aveva riconquistato, per
restituirglielo. Così, la moderatrice del dibattito a cui ho
assistito accusava, con tanto di indice puntato contro l'adiacente
Palacio nacional,
il governo dei suoi misfatti: politiche liberali, corruzione,
controllo dei media, tutte
tematiche
che potrebbero trasferirsi (con tutte le differenze del caso)
dall'altra parte dell'Atlantico.
Una società civile messicana
Ma quello che voglio mettere in evidenza è piuttosto l'atteggiamento
con cui questi problemi venivano trattati; una chiarezza e una forte
criticità contraddistinguevano il dibattito. E non solo da parte
degli intellettuali (la parola è mia e serve a riassumere i vari
casi di figura presenti al dibattito, principalmente scrittori e
giornalisti) che intervenivano, ma anche e soprattutto da parte del
pubblico, cioè della gente, che non era lì nella posizione di
qualcuno che ascolta per imparare cose, per aspettare la parola
riveltrice, di un Travaglio o di un Grillo, ad esempio. La gente era
la sede stessa della critica e ritmava gli interventi con commenti,
grida, applausi, ironie. Un pubblico numeroso e che reagiva, attivo e
attento soprattutto al dibattito sulla strategie di uscita: che fare?
Come creare un'informazione libera? Quali mezzi (Internet, una nuova
televisione popolare)? Come ribaltiamo il potere in questo paese?
Cose concrete insomma, non pugnette.
Cose pubbliche. Al punto che uno degli intellettuali ha dato vita ad
un intervento direttamente in interazione con il pubblico, parlando
di una starlette della televesione messicana (Laura Bozzo) che,
oltre ad avere problemi giudiziari con il suo paese di origine (non
so più se il Cile o il Perù), ha approfittato degli uragani per
girare alcune immagini sensazionalistiche di lei in elicottero
mostrando la catastrofe ai telespettatori. Ebbene, di quella presa in
giro, di quella critica, di quell'ironia l'intellettuale non era il
solo autore. Era nell'interazione, nello scambio di battute tra il
pubblico e l'intellettuale che la critica prendeva forma: un momento
in cui una comunità proponeva un riferimento comune e ne dibatteva,
divertendosi, per apportare una critica più ampia (ai media
specialmente).
È lì, in questa interazione a partire da riferimenti
comuni, che ho avuto l'impressione dell'esistenza di una società
civile messicana, che ha dei valori comuni di referimento, delle
conoscenze di riferimento, e che in base a questi valori comuni
realizza un dibattito sull'attualità (e non solo) che ha un senso.
Senso che, invece, mi sembra mancare profondamente nel dibattito
pubblico europeo, quando questo senso comune non si limiti
all'indignazione e, d'altra parte, fatti salvi alcuni piccoli circoli
generalmente ritenuti minoritari o estremistici. Esiste, in Europa e
in Italia in particolare, una società civile? Saremmo pronti a fare
un dibattito pubblico, sotto un tendone enorme, a piazza Colonna o
Venezia, per esempio, criticando a voce alta i vari Vespa, De
Filippi, Costanzo, Floris... Oppure ce li avremmo proprio sul palco?
La Lucha libre
Cambiamo
argomento, pur restando su questa problematica del pubblico come sede
di un'azione sociale. Passiamo però allo spettacolo. Uno degli
sport/spettcaoli più seguiti dai messicani è la lucha
libre,
la lotta libera, una sorta di wrestling messicano. Sul ring, due
squadre si affrontano. Da una parte i rudos,
che non rispettano le regole del gioco e la cui brutalità non ha
altro scopo che distruggere l'avversario e vincere. Dall'altro, i
tecnicos,
molto più corretti e onesti. Sui gradoni dell'arena, famiglie e
bambini tifano tendenzialmente per questi ultimi, mentre impiegati
sottomessi a una gerarchia durante la settimana tiferanno più
volentieri per i primi. Le due squadre incarnano così due principi
basilari della vita sociale: rispetto delle regole e del vivere
insieme contro volontà di sopraffazione. I tecnicos,
per fortuna, vincono più spesso. Ma in fondo tutti sanno che si
tratta soltanto di una finzione e che le due squadre non si picchiano
realmente: è uno spettacolo. E il vero protagonista dell spettacolo
non sono i luchadores,
ma il pubblico, che interagisce con loro, gli parla, li incita, tifa.
E, soprattutto, lo show, il fatto che la lotta sia una finzione,
permette al pubblico, alla società, di riconciliarsi, di
riconoscersi in ambedue i principi, di mentenersi in equilibrio tra
rispetto della vita sociale e egoismo. È, per così dire, una sorta
di catarsi. È un'altra prova dell'esistenza di una società civile,
di una dimensione pubblica forte nel popolo messicano, dimensione che
continuerò a sviluppare nel post successivo, dedicato ai murales.
Un assaggino:
Per leggere la seconda parte, clicca qui.
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