martedì 24 dicembre 2013

Lontano dal fronte


Dopo che l'8a Armata britannica comandata dal generale Montgomery ha assicurato il controllo della città adriatica di Termoli lo scorso 6 ottobre, l'esercito canadese ha occupato ieri, 14 ottobre 1943, il capoluogo Campobasso, immediatamente ribattezzato da locali e militari Canada Town. Le truppe tedesche sono quindi arretrate lungo le tre linee ritardatrici preparate dal generale Kesselring: la linea Viktor, la linea Barbara e la linea Bernhard. Nei prossimi giorni l'esercito canadese riprenderà la sua marcia verso nord, incrociando la più a meridione delle tre linee, la Viktor, che permette ai tedeschi di controllare la valle del Biferno da ambo i versanti. La prossima postazione che gli Alleati dovranno conquistare è dunque quella di Oratino.

Un sole fuori stagione riscalda l'aria. La polvere è nebbia, la strada, il ciglio, l'erba, si confondono, i colori sfumano. Foglie gialle e rosse volano, la mano alza un grappolo d'uva: viola. Una macchia viva di viola. Una voce parla, mio padre si rivolge a mio zio, ma non riesco a sentire, sono troppo lontano, gli vado incontro, cammino ma non mi muovo. Il carro invece avanza, distinguo l'asino, e il viola è sempre più forte, distinguo i grappoli, acino per acino. Vedo anche il volto di mio padre, ma è solo un istante. Esplosione. Raglia, colpisce la polvere si tinge di viola. Sangue. Frantumi. Mio padre si avvicina, difforme, soffre, si regge le viscere nelle mani, viola, l'uva, mio zio, l'asino, una gamba, il volto di mio padre e ancora il viola. Mi sveglio.

Supplica
Mia madre mi guarda. Ha capito che ho fatto ancora una volta lo stesso incubo. Non dice niente e si volta. Mi alzo dalla branda senza fare rumore e senza parlare per non svegliare mia sorella. Mi vesto ed esco dalla stanza adiacente alla stalla in cui ci siamo sistemati nell'autunno del 1943, l'unico rimedio per non dormire direttamente con le bestie. Gesù sarà stato pure riscaldato dal loro alito, ma il letame puzza e a me basta doverlo spostare tutte le mattine. Mia madre prepara la colazione e divide il latte in due porzioni, per me e mia sorella: la tazza è piena quasi a metà, aggiunge una punta d'orzo e il bianco si sporca. Una crosta di pane.
Sello il cavallo che mi ha prestato Giovannino e parto. Devono essere quasi le sette di mattina, mi metto in cammino. Gli uffici aprono alle otto e devo essere il primo ad entrare. La strada è lunga, il cavallo non ce la fa, piano, s'è raccomandato Giovannino, piano piano. Ho tutto il tempo per ripensare al mio incubo e per ricostruire una volta in più tutti i dettagli di quella scena a cui non ho mai assistito. Mi chiedo se il sogno di questa notte è identico al primo che ho fatto, anni fa. Mi chiedo se riuscirò mai a capire la voce di mio padre.
Lo stesso viola, la stessa uva. La vendemmia è finita.
Da casa agli uffici di Campobasso sono circa 20 i chilometri da percorrere. Con il cavallo di Giovannino è meglio non avventurarsi per le scorciatoie scoscese. Grazie a Dio, me l'ha prestato, per andare a prendere la perizia e il responso. Dopodiché, pare che ci vogliano circa due mesi per ricevere i soldi e sarà già inverno. I lavori di ristrutturazione della casa non potranno cominciare prima della primavera prossima, 1950. Un altro inverno in mezzo alla paglia e al letame, mia sorella è più grande e lo sciroppo del medico Randalli è un buon antidoto contro la bronchite. Dovremmo resistere.
L'ingegnere Guacci mi viene incontro. Suona il clacson e alza il mento per salutarmi. La sua Fiat Giardiniera va veloce, dice che da casa sua alla centrale ci mette solo 20 minuti. Se l'è comprata l'anno scorso, nuova di zecca. Trenta milioni. Trenta milioni gli hanno dato all'ingegnere. La centrale idroelettrica ha subito ingentissimi danni, diceva il banditore. Trenta milioni, distribuiti a rate di 500 mila lire al mese, salvo la prima e l'ultima rata, di 1 milione di lire. Al bar ci sventolò davanti al naso la relazione della Direzione Generale Danni di Guerra. Poi si presentò con la Giardiniera, la prima macchina che molti di noi in paese vedevano.
Il cavallo di Giovannino è lento. Neanche un milione, neanche un milione mi basterebbe. Rimettere in piedi il primo piano, ricomprare i mobili, poterci andare a vivere. E poi comprare due animali, ché la vacca fa sempre meno latte, le galline e le pecore sono vecchie e poche. Cinque polli ci portò via il tedesco. E quando vennero i canadesi, siccome ci avevano liberato, si fecero preparare dei pranzi ricchi di carne, quella che a me mi serviva per un anno. Un maiale. Da prima della guerra non abbiamo un maiale. Serve un nuovo vitigno, devo finire di riassestare la terra, che ancora ha alcuni crateri e le schegge escono quando zappo, ripiantare degli ulivi e aspettare anni prima che diano frutti. Mamma, resisti fino all'olio nuovo.

Sopporta
L'usciere mi accoglie. Chiedo dell'ingegnere Sestito, capo della sezione V, “c'è, c'è, si sieda aspetti qui, poi la chiamo”. Sparisce. Aspetto circa mezz'ora, la gente passa, entra negli uffici, poi riesce, gira nell'altro corridoio. Dell'usciere nessuna traccia. Entro nell'ufficio più vicino, riconosco l'ingegnere, mi saluta e sorride.
Tutto pronto, è tutto pronto, mi dice. Comincia a cercare nelle scartoffie, tira fuori una cartella enorme, poi un fascicolo più piccolo, lo apre, sfoglia, si lecca le dita, sfoglia, “Tirabassi Eugenio fu Pasquale, giusto?”. Dico di sì, piano. Mi porge il foglio sorridente e dice “ecco qua”, lasciandomi il privilegio di scartare il pacco. Ci sono molte cose scritte. Individuo il mio nome e giro le pagine in cerca delle cifre. In fondo, leggo “TOTALE RISARCIMENTO 18.800”. Ingegnere, io ne avevo chiesti 700.740. Quanti soldi mi hanno dato? C'è scritto, dice, quella là è la somma. Qualcosa non va, chiedo spiegazioni. C'è tutto scritto, mi dice, legga il resto. Ho fatto la terza elementare ingegnè, se leggo io ci spicciamo domani mattina, che ci sta scritto qua?
Ho letto bene, mi dice. 18.800. Poi legge: “...la rifinitura è discreta mentre lo stato di manutenzione è cattivo. A seguito dell'occupazione il fabbricato subì danni alla muratura esterna, agli intonaci interni, ai pavimenti e a porzioni del tetto a due falde con tegole marsigliesi. All'atto del sopralluogo oltre ai predetti danni erano visibili anche quelli derivanti dallo stato di abbandono dell'immobile con le relative conseguenze dovute agli agenti atmosferici. La differenza in meno di lire 681.940 tra l'indennizzo richiesto ed il peritato è dovuta: alla quota d'uso non considerata nella parte”.
Che significa?
Che lo Stato risarcisce soltanto i danni di guerra. La sua casa è in cattive condizioni non solo per cause belliche, ma anche per cause manutentive non adeguatamente effettuate, mi segue? Quindi lo Stato non le paga sostanzialmente la manutenzione che è compito suo effettuare, ma soltanto il sinistro che tedeschi, canadesi e compagnia hanno arrecato alla sua proprietà, mi capisce?”.
Non capisco. Sto zitto. Poi protesto. Lui mi chiede se deve rileggere la relazione. Manutenzione. Penso. Ho capito bene. Poi urlo. Manutenzione. Quale manutenzione? Dormiamo nella stalla dal '43, ingegnè, so' sei anni, perché i cannoni hanno abbattuto il tetto e i muri del primo piano, manutenzione? Intonaci? Ingegnè, voi l'avete visto come stiamo, voi siete venuto, che manutenzione, ingegnè, che manutenzione?
Dice di stare tranquillo, non agitarmi, siamo in un ufficio pubblico. Non dipende da lui, lui è solo un impiegato d'ufficio, non dipendono da lui le perizie. È il geometra, il perito, poi c'è non so chi, che valuta, i valori. Provo ad arrabbiarmi ancora. Non c'è niente da fare. Con chi posso andare a parlare? Nessuno, la guerra è finita da cinque anni quasi, le pratiche vanno smaltite, quelle chiuse sono chiuse.
Non ho effettuato la manutenzione. Il cavallo di Giovannino è lento. Al ritorno ancora di più. La manutenzione. Chiedo al cavallo un altro sforzo, torno indietro, verso Sestito.

Pentiti
Quando il demonio ti tenta, tu non devi cedere così, devi resistere, Eugè, resistere di fronte alla tentazione del peccato. Lo vedi, che poi, a che ti è servito? Sono dovuto andare a parlare con l'ingegner Sestito e pregarlo di tacere la cosa, non spargere denuncia, niente. Cosa ci insegna il Signore? L'altra guancia... Eugenio, tu sei stato superbo, hai preteso di poter risolvere i tuoi problemi con la sola forza dei tuoi atti, dei tuoi gesti. Hai pensato solo a te stesso, solo alle tue difficoltà. Per fortuna l'ingegnere non s'è fatto male. Aggressione a un pubblico, a un, a un impiegato insomma. Ti mandavano in galera, se volevano, Eugè. Pure “buon lavoro” gli hai detto, uscendo, dopo che gli hai distrutto l'ufficio. E meno male che ci sto io, ché se no la galera non te la toglieva nessuno, Eugè. Ora ti assolverò anche dalle pene dell'inferno, ma tu devi pentirti sinceramente e profondamente Eugenio, contrito devi essere di fronte allo sguardo del Signore, che ti ha messo alla prova e che tu hai osato sfidarlo.

Padre, voi c'avete ragione, sono pure pentito e ho chiesto scusa all'ingegnere come voi mi avete detto, perché è una brava persona che fa soltanto il suo mestiere. Non mi sono controllato. Ma io che posso farci? Se voi vivete da sei anni in una stalla, con tutta la vostra famiglia, e poi vi dicono che i soldi non ce li dovete avere, ma voi che facevate?

Per ogni porta che si chiude il Signore ne apre un'altra. Tu volevi scegliere il cammino più facile, il Signore invece ti ha messo alla prova e adesso ti dà un'altra possibilità. Senti a me. Io sto facendo in questi giorni la richiesta per il risarcimento danni di guerra. È un poco tardi, ma ancora si possono presentare le domande. I danni non si vedono tanto, ma ce ne sono stati, e pure tanti. Però, proprio perché non si vedono tanto i danni, la relazione che ho proposto al Genio Civile... diciamo che ci stanno un po' di cose che invece stanno ancora qua, altre che sono veramente sparite, e così via. Quei canadesi sono protestanti e non appena hanno visto un poco d'oro qua dentro si sono messi tutto nelle tasche. E questa profanazione va risarcita, nel nome del Signore. Però servono un poco di testimoni. Qualcheduno già ci sta, mò se tu vuoi partecipare, io sempre ti posso dare poi una mano a rimettere qualcosa a posto, possiamo comprare un poco di materiale per la casa, e poi vediamo.

Quanto chiedete, padre Nicò?

Ma tu ci vieni a testimoniare?

Io ci vengo, ma voi quanto chiedete?

Un milione.

E a me quanto mi date?

Dieci mila?

Padre, ma io con dieci mila lire non ci compro neanche i mattoni!

Facciamo venti mila lire, Eugè. E poi, vi ho mai fatto mancare qualcosa? Lo sai che quando hai qualche problema, io qua ci sto sempre, e se non era per me adesso stavi in carcere e tua madre e tua sorella in mezzo al freddo le avevi lasciate, per chissà quanto tempo.

Non dire falsa testimonianza
Dopo l'assoluzione, padre Nicola portò Eugenio in sagrestia. Gli porse la richiesta di risarcimento danni. Disse: “Firma qua”. Eugenio chiese di leggerla prima di firmare, ma il sacerdote insistette, “firma, mò te la leggo!”.

Il sottoscritto sacerdote Nicola Iafelice di Felice residente in Oratino Via Regina Mergherita nella qualità di parroco in Oratino chiede di essere indennizzato della somma di L. 922.500 quale ammontare degli oggetti asportati, depredati o distrutti ad opera delle truppe canadesi.
Poi ci sta tutta la descrizione degli oggetti e poi la dichiarazione dei testimoni: Noi sottoscritti testimoni, maggiorenni muniti degli altri requisiti di legge e non interessati alla domanda; tenuta importanza della prova testimoniale che con il presente atto rendiamo, nonché con il vincolo religioso che in tal guisa contraiamo davanti a Dio sull'obbligo di dire la verità; tenute presenti altresì le pene severe che la legge commina ai testimoni falsi o reticenti; sotto il vincolo del giuramento che noi prestiamo innanzi a Dio di dire la verità e null'altro che la verità: affermiamo essere vero notorio e a nostra personale conoscenza che tutto quanto è contenuto dichiarato nella domanda medesima ed allegato elenco, risponde in ogni sua parte a verità. Firme dei testimoni, Oratino lì 4 novembre 1949. Poi, se vengono a chiedervi qualcosa a voi testimoni, gli dite che tutto quello che c'è scritto sulla dichiarazione è vero, che non potete ricordarvi tutta la dichiarazione per filo e per segno, ma che mancavano armadio, statue, urne in ottone e in argento, organo, ostensorio in argento, labaro, tunicelle, panche, piviale, vesti della madonna, eccetera eccetera. Mò, domenica, dopo la messa della sera, tu vieni e ci aiuti a spostare le cose che stanno ancora qua, così le mettiamo nella cripta. Lunedì o martedì viene il controllo, una formalità, ma non ci deve stare niente.

Guadagnati il paradiso
L'ispettore non si degnò nemmeno di andare a trovare Eugenio. Parlò solo con padre Nicola. Gli era puzzata, a quelli del Genio Civile, questa storia di un risarcimento tardivo, troppo tardivo e con una somma così ingente; il primo controllo non gli era bastato e un accertamento ulteriore si rese necessario.
Padre Nicola assolse Eugenio dai suoi peccati e anche dalle sue colpe sociali e civili: gli presentò una seconda testimonianza già concordata con l'ispettore, firmata e approvata. Mancava solo la firma di Eugenio, che attraverso quel verbale proferiva parola, parola che il prete e l'ispettore avevano sapientemente stilato per lui. Che faccia avrà questo ispettore? Quanto gli darà padre Nicola? Ventimila? Di più, un ispettore vale più di un contadino.
Eugenio reiterava l'elenco dei furti e dei malfatti perpetrati dai soldati. Rinforzava la tesi del padre e anche quella dell'ispettore. “Eugenio, con questa pratica risolviamo tutti quanti i tuoi problemi. C'è stata quest'altra formalità, ma andrà tutto bene. Vedrai che quest'estate al più tardi prendiamo i soldi”.

Credi
Padre Nicò, i soldi del mio rimborso sono già finiti. Ho pigliato i soldi a maggio, ho fatto due mesi di lavoro e sto come prima. Se non copro il primo piano subito, ci viene a piovere dentro e stiamo punto e a capo. Intanto la terra va lavorata, ché sennò non dà niente. Sono venuto a chiedervi i soldi del risarcimento della chiesa, padre Nicò.

Figlio mio, tu vuoi i soldi del risarcimento prima che me li hanno dati?! Qua in paese facciamo la fame tutti quanti e tu vuoi venti mila lire così, tutti di un colpo?

Un anticipo...

Ma io non ce li ho figlio mio. Già i funerali a tua madre li abbiamo fatti così. Lo sai i tuoi compaesani quanto danno alla parrocchia per i funerali di un caro?! A te non ti ho chiesto niente. Mò, abbi pazienza, ché quando arrivano i soldi te li porto io.

Ama il prossimo tuo
Chicken, chicken, meats and milk.
Era freddo e grigio. Diametro, mi pareva un centimetro. Parlava americano e io non capivo. Altri cinque soldati giravano intorno, il ferro premeva sulla guancia, era freddo. Mia madre affianco, mia sorella nella stalla strillava. C'era un soldato in meno e il ferro premeva sulla guancia. Mia madre piangeva, io mi sono pisciato addosso. Chicken. Mi hanno detto che significa pollo in americano. E infatti presero i polli e se li fecero ammazzare da mia madre. Kill. I giorni successivi, hanno voluto il vitello e ogni sera mia sorella. La casa era calda e la legna già scarsa, troppo scarsa per il mese di ottobre. Poi sono venuti a cercarli e sono ripartiti per fare la guerra. Intanto mia sorella aveva voglia di ammazzarsi e ha resistito solamente per l'affetto di mia madre. Tutti dovevamo adesso resistere, resistere ancora per non crepare sotto le bombe, sotto il freddo, sotto la fame.

Sospetta
Secondo Giovannino, padre Nicola ha ricevuto i soldi. E noi testimoni non ne sappiamo nulla. Non ci ha chiamato. Giovannino dice pure che ne è sicuro, che ha visto la posta di padre Nicola e che c'era la lettera del Genio e che qualche giorno dopo padre Nicola è andato all'ufficio postale per ritirare i soldi. E non ci ha pagato. Secondo Giovannino non è giusto. Non è giusto. Io non resisto più, sta arrivando l'inverno, mia sorella è muta e malata. La casa sta diventando una tomba scoperchiata.

Espia
Il giudice Galli si era guadagnato subito la fama che meritava. Quella del castigatore. E infatti andò a trovare Eugenio, lui. Si presentò con un pastrano beige, dei pantaloni stirati con la piega. Una persona a modo, che si tolse il borsalino entrando in casa. Eugenio lo imitò e si tolse la sua coppola, per rispetto. Quindi il giudice gli spiegò che la pratica di padre Nicola era stata riaperta a risarcimento avvenuto. In effetti, il giudice l'aveva fatta scivolare nei suoi fascicoli, diffidando del lavoro del Genio. “Lei capirà, signor Tirabassi, dopo la fine della guerra ci sono stati numerosi tentativi di truffa da parte di chi presentava delle richieste di risarcimento. Nella sua regione, il Molise, si sono registrate delle anomalie e sembra che le richieste complessive dei molisani abbiano oltrepassato il patrimonio presente in regione...” Il giudice mosse leggermente la sua bocca e accennò quello che poteva sembrare un sorriso. Ma non lo era. Il giudice amava semplicemente fare delle pause durante i suoi discorsi e interrogatori, un modo come un altro di mettere sotto pressione l'interlocutore debole, impressionato da una persona così distaccata e cinica, che può condannare con il tono della noia quotidiana, della routine morbosa. “Insomma, al governo qualcuno ha storto il naso di fronte a questa esagerazione. Deve sapere che a chi legifera nei palazzi romani sta bene che si rubi, purché si rubi con decenza e nel rispetto di certi limiti. Il mio ruolo è proprio questo: ristabilire il limite. Rivalutare le pratiche ormai chiuse e pagate... Ha un bicchiere di latte?” Eugenio si alzò, chiamò la sorella, il giudice la guardò e ricevette il bicchiere sfiorandole le mani. “Dopo questo preambolo, lei avrà forse capito qual è il motivo della mia visita. La pratica per il risarcimento danni alla parrocchia, in cui lei si è costituito testimone, fa parte di quelle controllate da me e dai miei uomini. Il parroco, padre Nicola, ha chiesto quasi un milione di lire cinque anni dopo la fine della guerra. È evidente che una tale incongruità ha attirato la mia attenzione. È stato un po' ingenuo, da parte di questo parroco, poter pensare che la sua richiesta passasse inosservata. E mettiamoci anche che gli organi dello Stato sono stati particolarmente clementi nei confronti di quelli ecclesiastici e che i vescovi ci hanno già interpellato affinché non si facciano scandali, ma... capisce?”
Padre Nicola non è un ladro, signor Giudice.”
Sono d'accordo. La guerra è stata dura. E per questo abbiamo tutti diritto a un'esistenza e un futuro migliore. È questo il senso della democrazia. Lei stesso ha usufruito degli aiuti dello stato per ricostruire la sua casa, i cui lavori mi sembrano bene avanzati d'altronde e me ne complimento con lei. Ma, vede, il principio della democrazia è anche che ognuno abbia un po' e che non ci siano alcuni che abbiano troppo. Ecco, padre Nicola vuole troppo, troppo, al di là del limite della decenza...” Il giudice guardò Eugenio negli occhi per persuaderlo e, insieme, imporre la sua impavida autorità. “Una buona parte degli oggetti che le truppe alleate avrebbero portato via dalla chiesa non sono mai esistiti e infatti non figurano negli inventari della parrocchia, che pure sono dettagliati. Oggetti, peraltro, di cui difficilmente un fedele potrebbe testimoniare l'esistenza. Lei ha mai realmente constatato, prima della guerra, l'esistenza di un calice d'oro chiuso nell'armadio della sagrestia? E del piviale? Lei sa cos'è un piviale, signor Tirabassi?” Silenzio, come un allievo di fronte al maestro. “Mi scusi, non voglio metterla in difficoltà... Lei conosce i comandamenti? Ce n'è uno, mi sembra, che recita “Non dire falsa testimonianza”. È l'ottavo, credo. Ecco, la invito ad estendere questo comandamento anche alle dichiarazioni ufficiali, in cui la falsa testimonianza è un peccato, nella stessa maniera. Solo che invece di “peccato” noi giudici amiamo usare la parola “reato”. E le pene non le infligge Dio per l'oltretomba, ma noi giudici per questa vita. Le assicuro che le pene inflitte da noi giudici non hanno niente da invidiare in efficacità a quelle divine, signor Tirabassi.” E prima dei saluti: “Quanto vale la sua parola? Quanto è costata la sua testimonianza?”
Niente.”
Spero almeno che non sia vero. Comunque noi abbiamo deciso di riprenderci i soldi che il suo parroco ha rubato. Ora, lei può scegliere: o ci aiuta, confessando di essere stato corrotto, e in tal caso io la lascio in santa pace senza mettere le mani sui soldi che il prete le ha dato; oppure resiste alla nostra azione, continua a mentire per difendere il parroco, e in tal caso la porto in tribunale per aver dichiarato il falso e ci riprendiamo anche i soldi.
“Ma io quei soldi non ce li ho.”

Resisti
I passi di un cane, l'odore del fumo dei camini, la luce tenue dei lampioni. Le scarpe scivolano sulla pietra umida, bagnata, annebbiata la mente pensa a quello che c'è da fare, stasera, in questo paese bianco, bianco immacolato, bianco bagnato cerco angoli d'ombra, nessuno per strada, solo sento freddo, umido e il rumore dei passi di cane, il cane della panettiera, sta per girare l'angolo, scivola la pietra bagnata, ecco Giovannino, ha la sciarpa di sempre, un cappotto, gli occhi cattivi, vedo la mia rabbia nella sua, pure lui vuole i soldi, pure lui ha testimoniato, pure lui ha la faccia scavata, la nebbia ci separa. Michele Fatica sta schiattando, a domani non ci arriva e padre Nicola è andato a casa sua per l'estrema unzione. Andiamo, quello che dobbiamo fare. Il vicolo è stretto e l'odore dei camini s'incanala, l'umido attreversa i cappotti. Ho la testa bassa, i passi corti e veloci si dirigono verso la casa parrocchiale. Giovannino apre il cappotto, prende il piede di porco, sfonda il portone, poi richiude. Siamo dentro. La luce della notte illumina appena l'ingresso, poi le scale e il piano superiore. Non ci ero mai venuto, in casa di padre Nicola. Il confessionale, le navate, la cripta. Mai la casa. Sono deluso dall'odore di questa casa: né d'incenso, né di cera, né di fiori, né di ostia. Odore di una casa, triste, unicamente una casa. Giovannino è deciso, ha fretta, le sue mani spostano i mobili scoprono angoli della stanza da letto del prete e il letto. Sotto il letto, guarda sotto il letto mi ordina Giovannino e io guardo nel comodino: sopra: una Bibbia, sotto, dietro un Vangelo: un foglio illustrato con una donna sopra, un vestito stringe i seni, le braccia nude alzate sopra la testa, sorride e mi guarda bionda, dice “Rita Hayworth in Gilda”, Giovannino guarda la donna ride e si eccita padre Nicola guardando questo foglio, si masturba. “Sbrigati,” dice Giovannino. Sbrigati. Ancora non troviamo i soldi. Strappa il foglio e il corpo della donna è in mille pezzi, non ha più niente di erotico, è solo carta. Tutto è sottosopra, poi un rumore e ancora nessuna traccia dei soldi. Apre la porta, poi niente, si ferma e riparte piano, accende una luce all'ingresso, aspetta e grida “chi c'è?”, ci guardiamo, entra, ha afferrato qualcosa, sale le scale e ci guardiamo io e Giovannino va verso la finestra sale sul davanzale si guarda intorno cerca un appiglio poi scivola via nella nebbia e non lo vedo più a Giovannino, sono solo, padre Nicola entra in stanza, tutto è per terra, mi vede, si stupisce, forse, “che fai? che cerchi?” mi guarda, lo guardo, ho vergogna, ha un bastone in mano, quello che devo fare, comincia a picchiarmi, il piede di porco, lo prendo, rapido, le tempie, il cranio produce un rumore deciso quando si frantuma. Sangue schizza rosso, viola, colpisco ancora, più volte, sento una voce, la sua che rantola e non dice nulla, soffre questo prete che sto provando piacere ad ammazzare. Il pavimento è sporco e appiccicoso di mosto violaceo, come nel mio incubo, come il sangue di chi non ha resistito all'urto di questa guerra che state conducendo contro di noi, contro la povera gente come noi, un mosto violaceo che ha un gusto dolce, più dolce dei miei incubi, la dolcezza che sto gustando nell'ammazzare questo ricco prete, padrone della mia anima. Muori. Cerco i soldi su di lui, nelle mutande il mazzo di banconote odorano del suo pene e vado via, il viso di Rita Hayworth è straziato, strappato, difforme. Vado verso la finestra, seguo il percorso di Giovannino. Verso casa.

Racconto (molto) liberamente immaginato a partire dal libro Oratino nella Seconda Guerra mondiale di Roberto Colella.