venerdì 30 dicembre 2011

Trash Christ's Birthday: arte contemporanea a Campobasso

Nel centro della fontana di piazza Municipio a Campobasso ogni anno la giunta comunale installa un presepe. Quest'anno la tradizione ha lasciato posto ad un opera d'arte contemporanea. Quattro foto dell'opera:

Veduta d'insieme


La capanna

 
Dettaglio della testa dell'Angelo del Signore

Prospettiva diagonale della capanna

Il presepe è accompagnato da una didascalia, che presento nella prossima foto e che ho trascritto subito dopo. Prima però tre note: 
1) Iconografia: la capanna è sostituita da un arco in ferro rappresentante il simbolo dell'euro; nella zona posteriore ci sono tre colonne doriche che non sostengono nulla dipinte una di verde, una di bianco, l'altra di rosso: sono le colonne portanti della Patria; l'Angelo del Signore, un pezzo di ferro a forma di aquilone con una testa che ricorda la moneta da due euro, sovrasta e salverà l'euro.
2) Né il presepe né la didascalia con gli auguri di Natale sono firmati: non si sa chi ha realizzato l'opera, chi l'ha pensata, chi ci augura «un futuro più roseo».
-->
3) La didascalia che segue è stata copiata integralmente. L'uso dei puntini di sospensione e delle maiuscole è degli autori. Tutto ciò è stato realizzato senza nessun intento satirico né parodico.

La didascalia che accompagna l'opera

-->
«COMUNE DI CAMPOBASSO

Natale 2011 - Presepe in Piazza.

Ricorre il centocinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, eppure dai nostri cuori traspare un velato senso di tristezza... . .

La contingente situazione economica e l'incertezza delle sorti dell'euro determinano un comune senso di malessere ed una percettibile rinuncia al festeggiamento in quanto tale......

Il futuro pare quanto mai incerto e l'impossibilità di pensare positivamente all'avvenire delle nuove generazioni ci rende impotenti e mortificati..... .

Ma ecco che, in questo scuro contesto, la luce indotta dalla ricorrenza della natività del Bambin Gesù riaccende le speranze.........

Con la forza e la convinzione della nostra Fede, l'Angelo del Signore riporta in alto le sorti del nostro futuro... . .

Ancora erette si scorgono le colonne portanti della nostra Storia, quella di una Patria ricca di vissuto, determinato da uomini pronti ad affrontare qualsiasi sfida nell'intento di risolvere le problematiche che interferiscono con le sorti comuni, confortati ed accomunati da una Fede unica e sempre eterna......

Auguri di Buon Natale a tutto il popolo italiano ed in particolare a tutti i cittadini campobassani affinché ritrovino, uniti nella Fede che questa Sacra ricorrenza infonde nei cuori, la determinazione e la forza per credere nel rilancio del presente, nell'ottica di un futuro più roseo.»

La compilazione della didascalia

Grazie a Daniele che mi ha mostrato l'opera. 













venerdì 16 dicembre 2011

Tutte le volte che i miei stati facebook erano falsi

-->
Questo post inizia al paragrafo cinque.

Se non fossi nato ad agosto, non mi sarebbe mai venuta in mente questa burloneria. L'abitudine a passare i miei compleanni in una condizione di quasi dimenticanza, causa vacanze estive, viaggi, assenze ingiustificate, mi ha costretto, col passare degli anni, a svalutare il senso della data. Il compleanno. Niente di meglio da festeggiare: prima di tutto perché sei ancora vivo, nonostante l'ultimo anno; secondo poi perché festeggiandolo ricevi dei regali; terzo, in quel giorno sei tu al centro dell'attenzione, al centro delle foto con la torta, al centro del brindisi, al centro. Piaceri che a me non sono concessi. A parte il primo, evidentemente, che senza di quello non scriverei. I regali non li ricevo neanche più dai pochi che me li facevano perché, stanco di fare durante l'anno molti più regali di quanti ne ricevessi, io per primo ho smesso di fare regali: sono fuori da tutti i giri di scambi di regali per la mia avarizia: lo ammetto e lo rivendico. Ma persino il piacere egocentrico mi è stato negato: perché capita che si era in così pochi a festeggiare che alla fine con altre due o tre persone nate lo stesso giorno ci si univa e si faceva un'unica decente festa. In cui almeno la metà della gente non ti conosceva o comunque non era lì per te. Diciamo che, uomo di poche aspettative, quel primo piacere, l'essere ancora vivo, me lo faccio bastare e avanzare.

Ma non è questo il punto. Non è un post sulla tristezza del giorno del mio compleanno (l'ultimo l'ho passato a guardare Apocalypse Now). Quello era solo uno sfogo, una lacrima che è uscita mentre cominciavo a raccontarvi di una burloneria che ho fatto diverse volte.

C'era una volta sor facebook che quando ti ci iscrivevi ti chiedeva tutti li cazzi tua. E tu, glieli davi, senza problemi, che non ci stavi manco tanto a pensà. Poi per un giorno, che ti gira un po' più di là che di qua, ti dici che qualcosa gli si può, e deve, nascondere – se fosse possibile! Ma non è neanche questo il punto.
Il punto è che vedendo tutta quella gente che si faceva tanti auguri su facebook, e rosicando perché io al mio compleanno nessuno ci pensa, io mi sono detto: ma perché non fargli sto scherzetto di mettermi una data diversa? Allora, siccome sono un uomo di poche aspettative, ho modificato le informazioni del mio profilo e sono nato lo stesso giorno di cristonostrosignore. Tanti tanti auguri da parte di tanti. Poi, non contento e decidendo che cristonostrosignore è una comparazione di cui la mia persona non è degna, decisi di nascere qualche giorno dopo, alla befana. Ancora tanti tanti altri auguri e pure gente che me li aveva già fatti due settimane prima. Che burlone!

Ma il punto non è nemmeno questo... qual era? Ah sì! Ecco: è che poi mi è venuto di fare un altro scherzetto ai miei amici, che ai tempi si faceva tutti a gara a chi scriveva lo stato più bello e faceva più ilike. E allora mi son messo a scrivere di tanto in tanto delle citazioni, tutte false, alcune belle, altre non riuscite, qualcuna scherzosa. In tanti, forse anche tu che leggi, ci sono cascati e gli son piaciute.

E adesso, se siete riusciti a leggere questo post così mal scritto, godetevi questa sfilza di insulsi aforismi:

-->
La saggezza è Ironia, la consapevolezza dello scarto che esiste tra quel che è e quel che dovrebbe essere.” L. Pirandello
L'alcol provoca insonnia.” U. Veronesi

Che il sonno si collochi ai confini della vita lo dimostrano le posture che i più assumono tra le lenzuola: una è quella dei morti nel feretro; l'altra, quella dei non ancora nati.” Edgar Allan Poe

Per ogni buon maestro il problema è insegnare ai buoni a difendersi dai cattivi, pur sapendo che dote necessaria per difendersi dai cattivi è la cattiveria stessa.” Marco Fabio Quintiliano

Non esiste alcun giornalista in grado di dire cose vere. Tutt'al più possiamo riuscire ad essere degli ottimi inventori di notizie reali.” I. Montanelli

Non ho mai amato gli psicofarmaci. Due o tre bicchieri di buon vino rosso, produzione propria, prima di andare a letto: così ho curato la mia insonnia.” Albano Carrisi

Era come Sisifo. Ogni giorno riordinava a fatica lo spirito, la casa, la sua vita. Ma il crepuscolo irrompeva puntuale e quel masso di saggia moderazione scivolava di nuovo giù, nello scuro precipizio della notte.” O. Wilde

Ammettiamo il caso che i revisionisti abbiano storicamente ragione e ci accorgiamo, d'un colpo, del nostro errore. [...] La società dovrebbe comunque continuare a reprimerli, poiché la nuova Europa non può negare la narrazione tragica da cui sorge. La shoah è, in un certo senso, il nostro mito fondativo.” C. Lévi-Strauss

Certo, il femminismo, l'emancipazione e la parità dei sessi. Ma adesso mia moglie cucina solo quattro salti in padella findus e mi obbliga a lavare i piatti. E se azzardo il confronto con mia madre, non entro in camera da letto per almeno tre giorni.” Pino Daniele

Si riconosce il generoso non da quanto offre, ma da come riceve: senza ipocrisie e convenevoli, non bada al prezzo di quel che prende.” Montaigne

L'uomo moderno è un amalgama di contraddizioni. Dice con convinzione e sincerità l'esatto contrario di quello che, altrettanto convintamente e sinceramente, fa ed opera ogni giorno. È un esuberante e un perverso, ma a suo modo anche santo e contemplativo.” I. Calvino

Tra due culture e tra due epoche, persero la fede e gli antichi valori. Poi reinventarono la loro ritualità, collettiva e personale. Sorse un nuovo Racconto, di cui il Bosforo, col suo eterno essere crisi e legame tra due mondi, era il mitico protagonista.” O. Pamuk

Gli mancò il vino. Allora si rese conto che stava pian piano scendendo la scalinata della povertà. Venne meno il suo placebo, il soporifero, il tetrafarmaco.” A. De Carlo
Un mondo in cui non ci sia bisogno della menzogna sarebbe non solo perfetto, ma soprattutto noioso.” S. Beckett
Faire de la vie entière une aventure. Gare par gare, ville par ville, on sait toujours de partir, on n'a jamais l'impression d'arriver.” L. Aragon
E dopo tanti anni di panchina, era giunto anche il loro momento. Le Doctor Martens, sempre seconde scarpe, d'emergenza e per i giorni di pioggia, stavano per accompagnarla in quel suo lungo viaggio.” A. Baricco
Gli agrumi stimolano l'azione dei succhi gastrici e provocano un senso di fame.” M. Mirabella
Con il pretesto della 'buona educazione', ci hanno insegnato a parlare piano, a restare in silenzio, a sopportare le umiliazioni. In realtà hanno creato un esercito di schiavi, giovani e piccolo-borghesi.” P. Pasolini
I problemi si risolvono con la pazienza, l'amore e le biciclette.”

giovedì 8 dicembre 2011

Fred e il gastrosofo

-->
Aveva l'aria strana e neanche troppo simpatica. Penso di essere stato l'unico a notare il suo ingresso. Nessuno si girò verso di lui, nessuno fece una smorfia di stupore. Solo Rachid, da dietro al bancone, alzò un secondo lo sguardo per controllare di che sesso fosse il nuovo cliente. Uomo, come al solito, e riabbassò immediatamente gli occhi sul bicchiere da arak che aveva in mano. A me, invece, il tipo fece una certa impressione di curiosità. Aveva una camicia a quadrettoni, delle bretelle che sormontavano la pancia rotonda, non obesa ma grassa, grassoccia, e dei pantaloni neri ben stirati e con la piega perfettamente retta al centro che davvero non c'azzeccavano niente né con la camicia, né con le scarpe. Si tolse la coppola e vidi il suo viso rotondo con il naso allungato alla cyrano e affianco al naso, sugli zigomi, quasi dentro le palpebre, dei peli di barba sparuti, eredità di un errore di rasatura giovanile. Senza dire buongiorno si mise a sedere sul tavolino più vicino alla porta del bar, con difficoltà: dovette costringere la pancia nel piccolo spazio che restava tra il divanetto e il bordo del tavolino. Tirò fuori un taccuino e una penna e cominciò a scrivere. Guardai Rachid per capire cosa pensasse di un cliente così, mal conciato ma con una certa ambizione di distinzione, maleducato e incurante della comanda, ma lui era devoto all'allineamento dei suoi bicchieri sul bancone, compito che svolgeva meticolosamente e senza alcuna distrazione. Quando finì si girò, incrociò lo sguardo del cliente che non alzava mai gli occhi dal suo taccuino e fece un cenno con la testa, alzando un po' il mento. Era un'interrogazione. Allora il curioso tipo parlò e in quel momento la sua stranezza mi sembrò d'un tratto più accessibile.

Un tè alla menta, grazie. E anche da mangiare per piacere.

Rachid preparò la comanda, la sistemò in un vassoietto con il piattino per il conto, e me la passò, delegando a me quell'altra parte dei suoi ardui oneri. Eseguire i suoi ordini silenziosi era per me un piacere e sempre una buona scusa per attaccar bottone con i clienti. Peccato che di donne non ce ne fosse mai, nel suo bar. Mi avvicinai all'uomo, spostai il bicchiere e i piattini dal vassoio al tavolo, esitai un po' e poi finalmente esordii.

Cosa scrive? [troppo diretto forse] … se non sono indiscreto?

L'uomo alzò appena gli occhi, mi guardò come se nel bar non ci fosse mai stato nessun altro che lui e Rachid, e poi a mezza bocca, quasi annoiato:

Appunti...

E si fermò lì. [che atteggiamento!, queste persone che bisogna cavargli le parole di bocca] Allora pensai che le mie vaste conoscenze letterarie acquisite durante gli anni universitari potevano finalmente tornarmi utili...

Ah, quindi lei è uno scrittore?

No. No, no.

[Tre volte no, la prima per la mia domanda, la seconda per la prossima e la terza per tutta la conversazione. Per niente facile il tipo]

Un poeta?

Zoppicando con la voce, indeciso tra un rifiuto totale di parlare con me e un po' di buona coscienza, che chi rifiuta di parlare al prossimo non ha buona coscienza, piano piano cominciò a spiegarmi, a rivelarsi.

Sono appunti per il mio nuovo libro.

[lo sapevo che era uno scrittore] e perché dice che non è uno scrittore?

Perché non scrivo finzione. Scrivo saggi. Sono un professore universitario.

Interessante... [ho captato la sua attenzione. Ora lo guardo per istigarlo a darmi una risposta senza che io gli faccia una domanda, così si convincerà che è sempre stato lui a parlarmi e che io non gli ho mai chiesto nulla]

[e infatti] Insegno all'università di Al-Istumaq. Conosce?

Sì, non è molto lontano da qui, no?

Infatti...

E il suo prossimo libro è su?

Sulla possibilità di una poetica della flatulenza.

[pausa. Trattenni un riso]

Sta ridendo?

Come prego?

Si è messo a ridere, l'ho visto.

No, scherza? Sono sempre stato molto interessato a Bakhtin, il carnevalesco. Sa ai tempi dell'università...

No, no, no... dimentichi Bakhtin e tutta quella gente lì. Conosce il russo Satsyolnikov?

Be'... l'ho sentito...

Lasci perdere il nome... È il grande fondatore della disciplina che insegno, la gastrosofia.

Ah, la gastronomia!

No! La gastrosofia, composto dei due affissoidi greci gastro- e -sofia. È una disciplina nata nell'Ottocento, per l'appunto dalla mente dell'eruditissimo Satsyolnikov.

[si è fermato. Come continuo? Il silenzio si sta prolungando, pensa, pensa] Ah, quindi lei è un gastros...

Un gastrosofo. Esperto e teorico di gastrosofia. E il mio nuovo libro è una proposta poetico-letteraria per un'utilizzazione libresca del sapere gastrosofico. Per esempio propongo alcuni campi semantici ed alcune metafore, tipo... tipo, ecco, non so, l'idea metaforica che l'aria flatulente, in quanto proveniente dal nostro apparato digerente evidentemente, è un alito di anima che si diffonde nel mondo, e così via...


È che lei è all'oscuro della gastrosofia. Tutta la teoria di Satsyolnikov si basa sull'idea che la cultura occidentale, la filosofia voglio dire, è troppo, troppo... vediamo... urbana. Ecco, una cultura troppo urbana.

Urbana? Nel senso di città?

Sì, sì... vede, una cultura urbana... su cosa si basa una cultura urbana?

Ma, non so... palazzi?, traffico?, negozi, tanta gen...

Sì, certo, ma non voglio dire questo... dico, una cultura urbana, una società di persone che vivono insieme in città, di quali regole hanno avuto bisogno nei secoli scorsi e ancora oggi?


Di censura corporale, no? Mi sembra evidente. E non è soltanto una questione di buon costume!

[pensare a come uscire dalla conversazione]

È una questione ontologica! Ontologica dico! [mi mostra le unghie, agitando le mani] È che abbiamo sempre creduto di pensare con la testa, mentre pensiamo coi piedi... eh, no scusi, non volevo dire coi piedi...

Non pensiamo con la testa... [tanto per dare ancora un segnale di attenzione]

No! Pensiamo con la pancia, mio caro. Il mondo, la società umana si è fatta di pancia. L'iperuranio, lo spirito della storia, la ragione e l'animo, cogito ergo sum, abbiamo sempre piazzato tutti questi concetti in una sede più o meno trascendentale prodotta dal nostro cervello, mentre il sapere, il pensiero è nell'intestino crasso che nasce! Dio è il Pancreas!

[guarda Rachid, cerca di capire, escine!]

Tutto il sapere è in realtà creato con la pancia. È immanenza alimentare. Un sapere dello e dallo stomaco, gastro-sofia. Mi occupo di questo. Capisci?

Eh, [cavatela con una battuta banale che metta fine a tutto] diciamo che sta gastrofeggiando un po' troppo!

Ah! Lascia perdere... piuttosto, siediti e mangia. Forse ti schiarirai le idee.

lunedì 5 dicembre 2011

Una sgommata d'inchiostro

-->
Perché hai cambiato nome?

Perché il vecchio era scritto in italiano; mentre il nuovo non è scritto in nessuna lingua.

Lo sai che kitzsch non si scrive così?


Ma che differenza c'è tra un'insalata e un kebab?

L'insalata... l'insalata non basta. Troppo verde, troppo fresca, troppo greca direi. L'insalata può essere un ingrediente. Io ho bisogno di un abuso di ingredienti, di un sapore esaggerato e diverso ogni volta, anzi tutti quanti insieme. Voglio fregarmi il palato.

Si direbbe che non fai altro che mangiare.

Sono stato in un ristorante etiope ultimamente. Sono stato male per tre giorni: ho scoreggiato l'anima. Ed era tutto buonissimo, ma il mio stomaco non era pronto. Questo blog è un po' come il fuoco speziato che mi bruciava nell'intestino dopo l'etiope. Il piacere è quando scarichi tutto l'inchiostro che t'era rimasto dentro.

Un blog scritto di panza...

Più che di panza direi di culo o di esofago, è una diarrea o un vomito.

sabato 3 dicembre 2011

Il mio primo approccio con il conflitto israelo-palestinese

-->
Una donna dietro di me, francese, dalla parte dei palestinesi senza se e senza ma, diceva chukran al poeta Najwan Darwish e shalom allo scrittore Mosche Sakal. Il suo argomento, all'indirizzo dell'israeliano, Sakal, è stato: qual è la sua situazione rispetto alla leva militare? Ha mai partecipato ad azioni di combattimento, ha mai indossato la divisa, ecc.? Già, perché, dice Darwish (sempre Najwan, il jeune homme, non il defunto Mahmud), uno scrittore non è mai soltanto uno scrittore. Uno scrittore ha dovuto far parte dell'esercito, ha rappresentato e rappresenta, in un modo o nell'altro il paese, lo stato, Israele, il sionismo, l'occupazione. Nel 48 le proprietà della sua famiglia, di Darwish, sono state occupate e colonizzate da Israele. Darwish è nato in e vive in esilio, in una Palestina occupata. È figlio di un'espropriazione, di una colonizzazione. Viene controllato negli aeroporti, in quanto palestinese gli viene chiesto sistematicamente di spogliarsi per la perquisizione. Viene trattato come gli ebrei negli anni trenta. Parole sue.
Sakal ha raccontato di essere arabo, sua madre siriana e suo padre egiziano, di essere uno scrittore, israeliano. Parla in francese. Darwish parla in arabo, in un fussa che deve essere perfetto e pulito tanto che anch'io riesco a captare quelle due tre parole arabe che conosco: 'aydan, al-intifadat al-'arabiyya, al-kitab. Si fa tradurre da uno scrittore libanese, ma una volta ha voluto rivolgersi direttamente al pubblico e ha parlato in inglese.
Al pubblico e solo al pubblico. Perché Sakal non è sul piccolo palcoscenico della tavola rotonda. Non ce l'hanno voluto. Lo ha detto chiaro e tondo il moderatore che Sakal era stato invitato alla tavola rotonda sul ruolo degli scrittori dans le printemps arabe, ma che i tre (scrittori) palestinesi hanno posto il veto: non dialoghiamo con gli israeliani, non ci parliamo. Parlare con loro è come parlare con Israele, non parliamo con il bourreau, dialogo tra vittima e boia non è possibile, cosa volete, che il boia, dopo averci cacciato di casa e ucciso, quando viene e dice: parliamone, volete che gli diamo ascolto? Sappiamo che per voi francesi, parliamo francese, leggiamo i giornali francesi, conosciamo il vostro punto di vista, sappiamo che la nostra posizione è inammissibile, ma no, siete voi che non sapete capire il nostro, di punto di vista. E Sakal non c'è, su quel palco, interviene dopo, in quanto scrittore presente in sala, interviene. Un dibattito, un dialogo, per l'intermediario del pubblico, come un figlio che fa da portaparola tra due genitori in lite, un dialogo c'è.
Il libanese, il traduttore, dice: vorrei, je veux bien dialogare con un israeliano, con qualunque israeliano, ma prima di tutto alla condizione che condanni l'operato del suo Stato, e poi comunque non potrei, perché andrei in galera, in Libano è vietato ai libanesi d'adresser la parole a qualunque israeliano. Andrei in galera. E due anni fa lui aveva dialogato con un israeliano, dice il moderatore, ma giù dal palco, in privato, e per delle ore, una conversazione interminabile.
Stupide le motivazioni del rifiuto di un egiziano, Khaled el Khamissi, il primo a parlare (l'egiziano è palestinese o no? Mi rendo conto che non so neanche cosa vuol dire palestinese): non può esserci alcuna normalizzazione del dialogo con gli israeliani finché c'è il colonialismo. Le istituzioni letterarie egiziane rifiutano il dialogo, in blocco, io nel blocco rifiuto. Punto.
Una donna, francese, si alza, nel pubblico, e dice senza microfono che se ne sarebbe andata, non aveva voglia di ascoltare un dibattito con scrittori che non accettavano eccetera, non ho sentito. Altri si alzano, gruppi interi di persone si preparano per andarsene e la sala sembra volersi svuotare. Mi chiedo che cosa avrei fatto io. La curiosità mi teneva incollato alla sedia e poi mi sembrava ipocrita irritarmi per una questione che non mi tocca in prima persona, per la quale non mi sono mai innervosito. Olivier Gisbert interviene e invita tutti a restare, non ricordo più le motivazioni che dà, ma erano convincenti e la sala si riempirà de plus en plus. Allora interviene Tahar Ben Jelloun, toccante. Uno scrittore è uno scrittore, non è Israele. Molti scrittori israeliani sono dissidenti, essere uno scrittore è essere dissidente, non si può rifiutare di parlare con uno scrittore, con un essere umano in generale ma tra scrittori soprattutto, che a Marsiglia, per questa città, per quello che è, quello che rappresenta, si poteva. Non so più, non ricordo bene, non so riprodurre il discorso di Ben Jelloun, che mi ha commosso e fatto piangere.
Divieto di parlare, rifiuto di parlare. Guerra. Bourreau et victime. Distanza incolmabile. Nemici.
Post serio, scritto di getto, non controllato. Scusa.

http://www.salonecrimed.fr/category/Programme

martedì 29 novembre 2011

L'adolescenza è il periodo più difficile

-->
La mano si muoveva nei pantaloni. Non riuscivo a vedere bene, ma capivo che la sua mano si muoveva nei pantaloncini blu. Avevo steso i piedi, allungato il corpo, cercavo di trovare una posizione meno scomoda possibile. Ero convinto che comunque non avrei dormito, a prescindere da quella piccola mano che si muoveva nei pantaloncini azzurri, forse blu. O forse non si vedeva bene e tutto era troppo scuro. E io ero l'unico a mantenere accesa la luce, perché sapevo che qualsiasi posizione avrei provato ad assumere, l'esito sarebbe stato lo stesso: la veglia, l'attesa, la pazienza nell'aspettare che il tempo passasse e consumasse i chilometri, la domanda se avevo sonno o no, se mi sarei mai addormentato o no. A noi uomini talvolta prude lo scroto, ci grattiamo i coglioni. Pensai che i primi peli che crescevano sul suo pube dovevano esserne la causa, la sua pelosa pubertà pizzicava su quei sedili. Ma vidi meglio, o piuttosto non volli più vedere male: non avrei dormito e la sua piccola mano, infilata nei pantaloncini blu (o azzurri se ci fosse stata più luce) di quel tredicenne, si muoveva su e giù. Il rumore dello sfregamento del tessuto celeste con le mutande che doveva indossare il tredicenne era inudibile, sopraffatto dai motori spinti al massimo per sopraffare i chilometri di quella costa d'Italia. Il rumore della sua masturbazione rinviava a me. E non potevo essere che io, perché non c'era nessuno intorno.

Non era la prima volta che ero cliente di quell'agenzia di trasporti. Doveva essere già la sesta volta che prendevo quel pullman per fare sempre lo stesso viaggio, la stessa tratta: Stazione Tiburtina, Gare Saint-Charles. Non è un viaggio comodo, quattordici ore, quasi tutte di notte, ma la notte non dura abbastanza per la lunghezza di quel viaggio. Ma quando non si hanno troppi mezzi, troppi soldi voglio dire, si viaggia come si può. E io lo stavo facendo, per l'ennesima volta dicevo, e in un pullman che adesso era stranamente vuoto, semivuoto.

Avevo scelto un posto sul lato sinistro, quello del conduttore, un po' più dietro della porta di centro. Mi ero seduto sul lato del corridoio, per poterci buttare le gambe una volta riempito il pullman di clienti. Affianco a me, al di là del couloir tout étroit, una coppia di francesi. Davanti a me, una vecchia signora parlava francese con suo nipote e con la gorgia. Poco più dietro, dal lato dei francesi, due sedili più dietro, un signore, solo. Nella mia mano, uno splendido romanzo pienamente statunitense ed ebreo: Everything is illuminated, di Jonathan Safran Foer, regalatomi da Michela per il mio compleanno, venti giorni prima. Forse l'avrei finito prima dell'arrivo... dipendeva solo dalla mia incapacità di dormire in quello scomodissimo pullman.

Era ormai mezzanotte, il pullman non si era riempito e non si sarebbe più riempito. La popolazione intorno a me era immobile. Il nipote faceva delle allées retour dal suo posto, in fondo all'abitacolo, al posto della nonna. Ero l'unico a non provare neanche a chiudere gli occhi e dormire. La mia luce restava accesa e sbatteva sulla pagina, sotto la canopia di pietra di un acero gigante, prende tra le mani il suo braccio morto, dice: Ti prego, abbassandosi sopra il morto indice di lui. Sì, crescendo, sì, la zingarella fa le ore dodici di sera. Mi dissi allora che la nonna, la rital, doveva aver preso ormai sonno, come tutti quelli che mi stavano intorno. Spengo la luce e vado a sedermi dietro, qualche sedile più indietro, riaccendo una luce. Il nipote, di fronte a me, come me con le gambe allungate in mezzo al corridoio. Ma lui era arrivato dopo. Il pullman vibra sull'asfalto e il suo pollice sfiora inavvertitamente il mio piede. Il pullman procede senza sussulti e il suo piede scalzo sfiora ancora il mio. Contatti fisici involontari in luogo pubblico. Ritirai il piede e l'appoggiai sul bracciolo, ma la sua mano giovane era infilata nelle mutande e toccava il pene. La sua gamba si stende e il piede scalzo mi sfiora, avvertitamente, volontariamente, sensualmente. Piedino. Indubbiamente il primo piedino ricevuto in tutta la mia vita.

Ritirai le gambe, mi rannicchiai al mio posto, infilai le scarpe e lo guardai in cagnesco. Lui si spostò, andò verso la nonna o forse in bagno, non so più... Poi tornò. Intorno tutti dormivano e l'unico rumore era il rombo del motore del pullman e l'immagine mentale della mia voce qui lui criait dessus. Avevo paura di un suo avvicinamento, delle sue possibili avances. Come respingerlo, come spiegare a quelli che ci avrebbero a quel punto sentito e visto, che era lui, il tredicenne accompagnato dalla nonna che aveva tentato di sedurmi, chi avrebbe potuto credermi. Pensai a Dominique Strauss Khan e mi spostai sul sedile avanti. Lui restò immobile, poi si alzò per fissarmi. Mi spostai e tornai dietro la nonna, dove mi sentivo finalmente al sicuro.

Area di servizio, bagno. Non scende quasi nessuno. Indosso una felpa, prendo lo zaino e il tredicenne mi anticipa, esce prima di me. Io lo seguo. Si fa seguire. Entra nel bagno dell'autogrill. Io lo seguo e entro. Cerco allora il giovane e incrocio il suo sguardo, tra i battenti di una porta aperta, il cesso alle sue spalle, gli occhi scuri, ben aperti su di me, gioiosi e abietti, e la carta igienica nella mano sinistra.

venerdì 26 agosto 2011

seconda traversa a destra citofono pacciani

-->
Il tipo in ascensore non diceva una parola. Io avevo provato a scambiare due parole con lui, sul tempo, sulla casa, sulla questione degli alloggi. Sì, be', è una fortuna che ci sia questo sole questa settimana; cercare casa col cattivo tempo sarebbe stato sicuramente più spiacevole, avevo detto entrando in ascensore, dietro di lui. Finita la frase, lui era già arrivato in fondo all'ascensore, davanti allo specchio, e si era girato verso di me che allora varcavo la soglia. Allungata la mano sul pulsante numero 7 (per qualche misteriosa fatalità era da cinque anni che, pur cambiando casa ogni anno, finivo sempre al settimo piano), mi guarda con aria disinteressata e commiserevole, come lo strozzino annoiato dal debitore che implora. E non risponde. Neanche un “mhmm”, “eh già” o che so io. Fisso la tastiera dell'ascensore durante i primi quattro piani, ascolto il rumore delle corde. Mi torna in mente l'idea delle corde che si rompono e si sfilacciano, lasciando precipitare l'ascensore nella sua tromba. Ma, neanche sorpassato del tutto il quarto piano, l'imbarazzo del silenzio di quell'ascensore mi distoglie da quell'inutile fantasia. E provo a chiedere se è bene ammobiliata, la casa? Adesso la vedrai mi fa l'antipatico, con le mani in tasca, la schiena appiccicata allo specchio e gli occhi socchiusi, con le palpebre che fissano lo sguardo verso il basso e il mento un po' alzato: presunzione e altezzosità. Abbasso la testa e guardo le mie scarpe. Arriviamo al piano, non ho il tempo di inciampare uscendo dall'ascensore che il tipo mi dice: attento allo scalino, st'ascensore non si ferma mai sul piano, sempre un po' più giù. Sul pianerottolo giro un momento in tondo fingendo spaesamento per dargli il tempo di passarmi avanti e aprire uno dei quattro portoni. Apre.
In tutte le case che ho visto questo mese mi è sembrato di respirare sempre la stessa aria. Nel senso più proprio di aria: mi sembra di aver respirato più e più volte, in ogni casa che visitavo, proprio le stesse molecole delle altre case, senza che fossero cambiate e senza che neanche si trovassero lì in base ad un ciclo fotosintetico o idrico o atmosferico. Molecole di una strana aria fusa di anidride carbonica e polvere – che non si può dire che ci sia dell'ossigeno – pesanti, che sembrano vivere come funghi parassiti, una vera e propria muffa invisibile che riempie gli spazi vuoti e nulli delle stanze. Un'aria scura, sporca, densa, che è macchiata, come la moquette di un albergo dietro la stazione, un'aria sporca del tabacco e dell'haschisch, dell'alcol dei vecchi inquilini; sporca, nelle stanze, del loro sperma, delle loro scoregge, delle loro putride abitudini. Due stanze là a destra e a sinistra, il bagno sta in fondo, questa è la cucina, qua c'hai uno sgabbuzzino. Fatti un giro, io mi siedo in cucina e poi parliamo. Cammino, ma non sono concentrato sulla casa. Penso a lui seduto in cucina che mi aspetta per dirmi il prezzo, le spese condominiali, la caparra. Il pensiero di lui nell'altra stanza e qualche rumore di sedia che rimbomba dalla cucina mi mette fretta e non mi rendo conto della grandezza degli spazi, della qualità del mobilio, delle condizioni delle pareti. Da quel breve giro ricevo solo un'impressione di generica fatiscenza e angustia. E questa è la cucina, faccio io, come per introdurmi in una conversazione che quello stava portando avanti con il foglio in cui scriveva dei conti. Allora, novecento euro tutto l'appartamento, poi il condominio so' altri centocinquanta ogni tre mesi, acqua e monnezza arrivano sempre a settembre, quando se ne so' già andati, quindi me li paghi adesso, subito, e stiamo a posto, poi le bollette, qua non si spende tanto, ciò pure cambiato la caldaia un po' di tempo fa e questa consuma poco, pure il frigo è abbastanza nuovo, insomma sulle bollette degli anni scorsi veniva tipo cinquanta euro al mese, poi dipende da te, è chiaro se sei bravo a risparmiare... Il riscaldamento? Condominiale, da novembre ad aprile centocinquanta a trimestre, a parte il condominio insomma; so' tre mesi di caparra. Ma con contratto? Mmm, che te serve il contratto a te? Be', lo si può fare nel caso? Macché ci fai col contratto, lascia pèrde' che so solo spese, marche da bollo, dovresti andà' pure all'agenzia dell'entrate, e la questura poi, te lo sconsiglio. E mi dà il foglio coi conti, che pareva che le spese, invece che sommarsi, si sottraevano. Mi dice pure che tre ragazzi erano venuti la mattina a vedere la casa ed erano seriamente intenzionati a prenderla in affitto. Mo, stasera quelli mi chiamano, che gli è piaciuta la casa e qua stanno comodi, c'è tram, c'è autobus, è una bella zona, stai vicino a tutto, ciài tutto sotto casa e manco è costoso come quartiere; uno deve vedere pure il risparmio sul costo della vita, quando vai a comprà il pane tutti i giorno, se te vòi pijà un caffè al baretto sotto casa, e così via.
Mi sentivo nauseato dall'atteggiamento saccente del tipo e dall'odore di calcare che esalava del lavandino. Sentii la polvere muoversi sotto le suole delle scarpe e andai via. Mi lasci il suo numero, ci penso, semmai la chiamo in serata.

sabato 20 agosto 2011

I love musicassetta.

-->
Sono sempre arrivato sulle innovazioni tecnologiche con il ritardo di circa mezza generazione. Nel senso che porto il ritardo cognitivo su ogni nuova possibilità offerta da internet, media, e robe varie riscontrabile generalmente nei soggetti nati alla metà degli anni Settanta, una dozzina d'anni prima di me. Quindi possiamo dire, tanto per fornire qualche dato percentuale, che delle 100 innovazioni annuali – mettiamo – che offre il nostro tempo, se i miei coetanei mediamente ne conoscono e usano all'incirca il 25%, io mi limito ad uno stentato 7-8%. E se la novità li raggiunge nel giro di pochi mesi, per me ci vuole un annetto buono, nel migliore dei casi.

Le ragioni sono svariate. La prima, io la definirei di economia conoscitiva. Perché impegnarmi a conoscere, mettiamo, MySpace se molto probabilmente il successo di questo sarà limitato e sarà sostituito totalmente dai social network come Facebook? Perché imparare ad usare il videofonino se non mi videochiamerà mai nessuno, mentre arriverà l'i-Phone a rivoluzionare totalmente la nostra maniera di utilizzare i telefoni cellulari? Insomma, diciamo che lascio sperimentare le novità a terzi, aspetto che esse si affermino, dilaghino, diventino indispensabili alla nostra vita quotidiana e poi, piano piano, senza darmi troppo daffare, mi accodo alla massa. Non sono un pioniere.
E non lo sono anche per la seconda ragione della mia lentezza, e cioè l'avarizia. Sì, perché l'essere pioniere, in campo tecnologico e mediatico spesso implica anche una certa spesa. Pur ammettendo che l'i-Phone mi venga regalato da un cugino (ciò che è comunque impossibile visto che la mia avarizia mi ha escluso da tutti i circoli di regali di parenti, amici e conoscenti), ci sarà comunque un accessorio da comprare, sostituire, connettere, o che so io. Mi sembra più utile tagliare il problema alla radice e seguire il teorema economico da me formulato che soggiace alla mia sterile e grama vita: la crescita del desiderio di possesso è sempre esponenziale e, con essa, la spesa. Quindi: non iniziare mai a comprare. Roba da far stirare definitivamente le borse europee.

Poi ci sarebbero ancora altre ragioni che motivano la mia inabilità e la mia ignoranza in questo campo. Ma per ora mi interessa piuttosto individuare alcune conseguenze. Una di queste, la più evidente se venite a trovarmi dove mi trovo ora, consiste nel fatto che nello stereo dell'automobile di famiglia che utilizzo quando “torno al paese” c'è, da circa diciotto mesi, lo stesso CD-ROM e solo quello. E diciamo francamente che ho anche una certa fortuna, perché il disco che gira è bello, s'intitola Transformer ed è di un certo Lou Reed, che a me piace tanto e non mi stanca mai. Anche se non capisco le canzoni, comincio addirittura a cantare con la radio quando sono in macchina. E ogni tanto ho pure l'impressione di azzeccarci qualche parola inglese. Quel che mi impedisce di cambiare disco è che: uno, non ho molti CD con musica migliore e, quei pochi che ho, dovrei cercarli; due, non ho voglia di fare nuovi CD con musica migliore, perché non ho CD vergini e dovrei mettermi a masterizzare e mi ci vorrebbe un pomeriggio intero, ammesso che io sia in grado di selezionare musica migliore; tre, non ho i soldi per comprare uno stereo con l'ingresso USB.

Però l'altro giorno ho viaggiato in macchina di un amico che mi ha veramente stupito. Aveva una macchina nuova, cioè recente almeno quanto gli stereo con CD, e aveva montata una vecchia autoradio per musicassette e nel portabagagli aveva un cofanetto pieno pieno di cassette.
Mentre scrivo, nella stanza affianco, che è la cucina, sta bollendo qualcosa nella pentola a pressione, che quindi fischietta tutto il tempo. Sapete il rumore della pentola a pressione che fischietta, no? Fffff. È lo stesso rumore che faceva da sottofondo a quei dischi. C'erano i Pearl Jam, i Police, c'era Ben Harper, tutti quanti con un ffffff di sottofondo nientemale. Dovrebbero ricominciare a farli così i dischi, un po' sporchi, più vintage.

domenica 24 luglio 2011

Con vasellina o senza?

-->
Eeeh, pronto? Ciao buongiorno, senta mi scusi...

Mi dica.

Senta, io, praticamente, dovevo ricevere un rimborso, cioè lo devo ancora ricevere, della piscina. Perché io in sostanza mi ero iscritto a questa piscina, più o meno l'autunno scorso, no? e il mio abbonamento durava teoricamente fino a... fino a? ah sì, fino a inizio maggio. Era un abbonamento di sei mesi, insomma.

Sì...

E però la piscina mi ha chiuso. Cioè, sono aperti perché c'è anche la palestra, però la piscina non so che problemi ciavranno avuto loro, insomma sta in lavori, e a me m'hanno sospeso l'abbonamento. Tipo... verso metà marzo. E quindi dovrebbero restituirmi un mese e mezzo d'abbonamento. Non so se...

Allora mi faccia capire. Lei era iscritto ad una piscina con un abbonamento semestrale e aveva pagato tutto in anticipo, giusto?

Sì, ormai fanno tutti così.

Bene. Però la piscina a metà marzo ha sospeso le attività e il suo abbonamento per l'ultimo mese e mezzo.

Esatto, sì, è proprio questo il problema. Che mi devono ridare i soldi e invece non me li ridanno. Insomma, ho diritto al rimborso e invece chiacchierano chiacchierano e non si vede una lira.


Posso rivolgermi a voi? Mi potete aiutare?

Sì certo, siamo qui per questo. Quanto dovrebbero restituirle?

All'incirca sessantasette euro e cinquanta.

Bene. Può prendere un appuntamento nei prossimi giorni con uno dei nostri avvocati. Poi le dirò i costi dell'intermediazione e valuterà se le conviene.

Ah, cioè, che vuol dire scusi... per cosa, cioè quali costi? la consulenza, quanto dovrei...?

Be', innanzitutto, lei è un tesserato?

Be', no...

Allora ci sarebbe da fare prima di tutto la tessera, che costa 50 euro.


Quindi la consulenza dell'avvocato, che generalmente la fatturiamo a venti trenta euro, a seconda del caso.

Eeh...

Se poi dovesse rendersi necessaria una lettera del nostro avvocato all'indirizzo della ragione sociale da cui lei deve ricevere il rimborso, la lettera costerebbe altri trenta quaranta euro.

Ma, senta, una consulenza orale, veloce?

Be', c'è comunque bisogno della tessera.

Quindi non mi può aiutare nessuno? Dove vado vado, comunque c'è bisogno della tessera? Cioè, niente...

È che serve la tessera...

Capisco. Allora, arrivederci.

Arrivederci.

giovedì 21 luglio 2011

Come si fa un'insalata rotta o come si rompe un'insalata, o anche come si può insalatare una rottura

-->

Sono principalmente due gli ostacoli che mi hanno finora impedito di aprire un blog. Il primo, è che molto probabilmente non sapevo come farlo: tecnicamente voglio dire. Anche se nell'ultimo anno le mie conoscenze tecnico-informatiche sono aumentate con un ritmo quasi esponenziale. L'ultima mia grande scoperta è stata l'indice dei documenti di testo: lo si può fare in automatico. Se avete Openoffice, cliccate qui per scoprire come si fa. Se avete Microsoft Word, siete degli sfigati. Se posso permettermi di parlare di indici automatici in maniera intelligente e con cognizione di causa è tutto merito del mio amico Fabio. Non ditegli che ve l'ho detto.
Eppure questo primo ostacolo sarebbe tutto sommato superabile, giacché mi ritengo una persona che sa poco ma impara velocemente. È quello che ho provato a spiegare al tipo col pizzetto che mi ha interrogato durante il mio ultimo colloquio di lavoro.

Hai mai compilato un inventario?

No.

Quindi non sai come si compila un inventario.


Noi avremmo bisogno di una profession in grado di stilare un business index per un'intermediaria di beni, che possa registrare la partita doppia del nostro stock e stringere deal con imprese estere. È in grado di svolgere almeno una delle mansioni che le ho elencato?

Poiché la mia laurea in lettere, fresca fresca di zecca, mi permette di avere tanto tempo libero a disposizione e poiché aprire un blog non è difficile come lavorare nel terziario della sperequazione* vinicola (*si ringrazia Il Sole 24 Ore per la parola sperequazione, qui utilizzata a sproposito e della quale ignoriamo completamente il significato), ho deciso che aprirne uno tutto mio sarebbe stato prima di tutto un buon esercizio. E poi credo anche che è ora di mettersi alla prova e blà-blà, sgrunf-sgrunf.

Mesi fa ho anche imparato a farlo, un blog. Ho scoperto che esiste una roba che si chiama Blogspot, oppure un'altra che si chiama Splinder, che ti permette di... cioè, praticamente ti dà lo spazio per... insomma se vuoi aprire un blog, come sto provando a fare io, vai su Blogspot e da qualche parte cerchi “Crea blog” o... Be', mesi fa io altri amici abbiamo aperto un blog che si chiama Tavor in fabula e che potete trovare qui. Ci scrivevamo in sette, il progetto – partito bene – si è arenato nel giro di tre mesi. Ognuno di noi aveva inventato un personaggio e si firmava con il nome del personaggio. Io ero ovviamente quello col personaggio più figo, il Dr. Zapotec. Chissà, alcuni dei post del Dr. Zapotec potrei riproporli in questo nuovo blog; quando deciderò ve lo farò sapere. Forse. Se volete che ve lo faccia sapere con certezza e siete giovani e carine, contattatemi personalmente. Insomma, fatto sta che quella prima esperienza mi ha permesso di imparare – un poco tutto insieme – come si fa un blog, che cos'è un template, e che si usano un sacco di parolacce inglesi inutili.
Viste le eccellenti premesse, non mi sembra il caso di dilungarmi inutilmente sul carattere di questo blog, sugli argomenti che tratterò, sul tono dei post e su tutte quelle cose che mi sembrano del tutto secondarie e chi vi farebbero soltanto capire che genere di blog ho in mente, privandovi peraltro del piacere della sorpresa di degustare un piatto freddo o caldo che non avevate mai assaggiato prima.


Ma parliamo un po' di te. È passato tanto tempo...

Già, ne è passata di acqua sotto i ponti.

Cosa hai fatto in tutti questi anni?

Eh, sono successe tante cose, è cambiato tutto...

Ho saputo che ti sei sposata...

E poi ho divorziato.

Sei cambiata, ma in fondo sei rimasta sempre la stessa, hai lo stesso sorriso sincero e sorridente.

Ti ringrazio. Mi lusinghi. Provo a non dimenticare mai la mia forza interiore. È una fiamma che bisogna ravvivare ogni giorno.

Sono d'accordo con te. Me ne sono accorto dalla luce dei tuoi occhi.

Già, è la luce. Tu la vedi la luce?

Io?

Sì, non vedi la luce che investe il mondo nei nostri atti quotidiani, nella nostra vita? Bisogna imparare a percepire la luce del mondo per vivere in pace con esso.


Da quando ho scelto di illuminarmi, di illuminare le cose del mondo, di vivere in maniera più... più spirituale, tutto è andato meglio. Anche il divorzio.

Capisco.

Ti sembro strana? Se ti sembro strana puoi dirmelo, voglio che il nostro rapporto sia del tutto sincero, senza sincerità non possiamo fluire nelle stesse frequenze.


Ci vuole fiducia nel mondo, fiducia. Pensaci, tutto sommato è sulla fiducia che si basa il mondo ed è grazie ad essa che il mondo non crolla. La fiducia è la luce!

È un'ipotesi interessante, in effetti...

In effetti il nostro amico si trovava in un bel pasticcio. Con una matta spiritualista in un bar minimal della grande metropoli, della Grande Mela, proprio non sapeva come cavarsi d'impiccio. Allora pensò, pensò a un appuntamento che avrebbe potuto dimenticare per prendere un caffè con quella vecchia amica, un'urgenza che avrebbe potuto sopravvenire in quegli istanti, un morto, un ictus, un incidente stradale lì accanto, qualcosa che mi porti via da qui cristo! Pensò ancora, pensò il nostro Fred. E gli venne in mente soltanto che aveva dimenticato la seconda difficoltà di aprire un blog. Ma questo non lo aiutava, non era abbastanza. Rifletté di nuovo sulla seconda difficoltà di aprire un blog: qual era? Non ci aveva già pensato? Non doveva già conoscerla da tempo? Non doveva essere, per lui, qualcosa di innato, di antecedente all'essere, alla concretizzazione della persona? O, forse, la risposta si trovava proprio davanti ai suoi occhi e non la vedeva, non la riconosceva. Chissà, ora stava cominciando a gettare luce sul mondo.