giovedì 8 dicembre 2011

Fred e il gastrosofo

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Aveva l'aria strana e neanche troppo simpatica. Penso di essere stato l'unico a notare il suo ingresso. Nessuno si girò verso di lui, nessuno fece una smorfia di stupore. Solo Rachid, da dietro al bancone, alzò un secondo lo sguardo per controllare di che sesso fosse il nuovo cliente. Uomo, come al solito, e riabbassò immediatamente gli occhi sul bicchiere da arak che aveva in mano. A me, invece, il tipo fece una certa impressione di curiosità. Aveva una camicia a quadrettoni, delle bretelle che sormontavano la pancia rotonda, non obesa ma grassa, grassoccia, e dei pantaloni neri ben stirati e con la piega perfettamente retta al centro che davvero non c'azzeccavano niente né con la camicia, né con le scarpe. Si tolse la coppola e vidi il suo viso rotondo con il naso allungato alla cyrano e affianco al naso, sugli zigomi, quasi dentro le palpebre, dei peli di barba sparuti, eredità di un errore di rasatura giovanile. Senza dire buongiorno si mise a sedere sul tavolino più vicino alla porta del bar, con difficoltà: dovette costringere la pancia nel piccolo spazio che restava tra il divanetto e il bordo del tavolino. Tirò fuori un taccuino e una penna e cominciò a scrivere. Guardai Rachid per capire cosa pensasse di un cliente così, mal conciato ma con una certa ambizione di distinzione, maleducato e incurante della comanda, ma lui era devoto all'allineamento dei suoi bicchieri sul bancone, compito che svolgeva meticolosamente e senza alcuna distrazione. Quando finì si girò, incrociò lo sguardo del cliente che non alzava mai gli occhi dal suo taccuino e fece un cenno con la testa, alzando un po' il mento. Era un'interrogazione. Allora il curioso tipo parlò e in quel momento la sua stranezza mi sembrò d'un tratto più accessibile.

Un tè alla menta, grazie. E anche da mangiare per piacere.

Rachid preparò la comanda, la sistemò in un vassoietto con il piattino per il conto, e me la passò, delegando a me quell'altra parte dei suoi ardui oneri. Eseguire i suoi ordini silenziosi era per me un piacere e sempre una buona scusa per attaccar bottone con i clienti. Peccato che di donne non ce ne fosse mai, nel suo bar. Mi avvicinai all'uomo, spostai il bicchiere e i piattini dal vassoio al tavolo, esitai un po' e poi finalmente esordii.

Cosa scrive? [troppo diretto forse] … se non sono indiscreto?

L'uomo alzò appena gli occhi, mi guardò come se nel bar non ci fosse mai stato nessun altro che lui e Rachid, e poi a mezza bocca, quasi annoiato:

Appunti...

E si fermò lì. [che atteggiamento!, queste persone che bisogna cavargli le parole di bocca] Allora pensai che le mie vaste conoscenze letterarie acquisite durante gli anni universitari potevano finalmente tornarmi utili...

Ah, quindi lei è uno scrittore?

No. No, no.

[Tre volte no, la prima per la mia domanda, la seconda per la prossima e la terza per tutta la conversazione. Per niente facile il tipo]

Un poeta?

Zoppicando con la voce, indeciso tra un rifiuto totale di parlare con me e un po' di buona coscienza, che chi rifiuta di parlare al prossimo non ha buona coscienza, piano piano cominciò a spiegarmi, a rivelarsi.

Sono appunti per il mio nuovo libro.

[lo sapevo che era uno scrittore] e perché dice che non è uno scrittore?

Perché non scrivo finzione. Scrivo saggi. Sono un professore universitario.

Interessante... [ho captato la sua attenzione. Ora lo guardo per istigarlo a darmi una risposta senza che io gli faccia una domanda, così si convincerà che è sempre stato lui a parlarmi e che io non gli ho mai chiesto nulla]

[e infatti] Insegno all'università di Al-Istumaq. Conosce?

Sì, non è molto lontano da qui, no?

Infatti...

E il suo prossimo libro è su?

Sulla possibilità di una poetica della flatulenza.

[pausa. Trattenni un riso]

Sta ridendo?

Come prego?

Si è messo a ridere, l'ho visto.

No, scherza? Sono sempre stato molto interessato a Bakhtin, il carnevalesco. Sa ai tempi dell'università...

No, no, no... dimentichi Bakhtin e tutta quella gente lì. Conosce il russo Satsyolnikov?

Be'... l'ho sentito...

Lasci perdere il nome... È il grande fondatore della disciplina che insegno, la gastrosofia.

Ah, la gastronomia!

No! La gastrosofia, composto dei due affissoidi greci gastro- e -sofia. È una disciplina nata nell'Ottocento, per l'appunto dalla mente dell'eruditissimo Satsyolnikov.

[si è fermato. Come continuo? Il silenzio si sta prolungando, pensa, pensa] Ah, quindi lei è un gastros...

Un gastrosofo. Esperto e teorico di gastrosofia. E il mio nuovo libro è una proposta poetico-letteraria per un'utilizzazione libresca del sapere gastrosofico. Per esempio propongo alcuni campi semantici ed alcune metafore, tipo... tipo, ecco, non so, l'idea metaforica che l'aria flatulente, in quanto proveniente dal nostro apparato digerente evidentemente, è un alito di anima che si diffonde nel mondo, e così via...


È che lei è all'oscuro della gastrosofia. Tutta la teoria di Satsyolnikov si basa sull'idea che la cultura occidentale, la filosofia voglio dire, è troppo, troppo... vediamo... urbana. Ecco, una cultura troppo urbana.

Urbana? Nel senso di città?

Sì, sì... vede, una cultura urbana... su cosa si basa una cultura urbana?

Ma, non so... palazzi?, traffico?, negozi, tanta gen...

Sì, certo, ma non voglio dire questo... dico, una cultura urbana, una società di persone che vivono insieme in città, di quali regole hanno avuto bisogno nei secoli scorsi e ancora oggi?


Di censura corporale, no? Mi sembra evidente. E non è soltanto una questione di buon costume!

[pensare a come uscire dalla conversazione]

È una questione ontologica! Ontologica dico! [mi mostra le unghie, agitando le mani] È che abbiamo sempre creduto di pensare con la testa, mentre pensiamo coi piedi... eh, no scusi, non volevo dire coi piedi...

Non pensiamo con la testa... [tanto per dare ancora un segnale di attenzione]

No! Pensiamo con la pancia, mio caro. Il mondo, la società umana si è fatta di pancia. L'iperuranio, lo spirito della storia, la ragione e l'animo, cogito ergo sum, abbiamo sempre piazzato tutti questi concetti in una sede più o meno trascendentale prodotta dal nostro cervello, mentre il sapere, il pensiero è nell'intestino crasso che nasce! Dio è il Pancreas!

[guarda Rachid, cerca di capire, escine!]

Tutto il sapere è in realtà creato con la pancia. È immanenza alimentare. Un sapere dello e dallo stomaco, gastro-sofia. Mi occupo di questo. Capisci?

Eh, [cavatela con una battuta banale che metta fine a tutto] diciamo che sta gastrofeggiando un po' troppo!

Ah! Lascia perdere... piuttosto, siediti e mangia. Forse ti schiarirai le idee.

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