domenica 12 maggio 2013

Racconto di un matrimonio, in questo inizio di XXI secolo


Quando mamma Di Nardo sentì dalla viva voce del proprio figlio, Omar, che lui e la sua fidanzata avevano deciso di sposarsi, lei versò una lacrima di gioia. E il padre, che ora vedeva la speranza di diventar nonno molto più vicina e concreta, se ne andò a cercare una bottiglia di spumante per brindare e per nascondere la sua, di lacrima.
Tuttavia, quando mamma Di Nardo sentì dalla viva voce di Omar che lui e Rosa avevano deciso di sposarsi, lei pensò immediatamente alla matassa ingarbugliata che quel matrimonio avrebbe creato. Mamma Di Nardo e anche papà Di Nardo, infatti, sapevano bene che quei due, per sposarsi, non c'avevano una lira, o un centesimo come avevano imparato a dire da un pò di anni a questa parte. E senza soldi e senza casa – si chiedevano i due quando il figlio e la futura nuora finirono di cenare e se ne uscirono – che matrimonio s'ha da fare?
Certo, Rosa lavorava come parrucchiera. Ma lavorava nel salone della zia, in nero e per 400 euro al mese, nella speranza che la zia un giorno andasse in pensione, o schiattasse, lasciandole l'attività, le attrezzature, i clienti e, si sperava, anche i guadagni. Ma la zia doveva ritenere che questi ultimi, benché scarsi, fossero abbastanza soddisfacenti per continuare a lavorare anche dopo l'età pensionabile, tenendosi stretto il luogo in cui aveva passato gli ultimi trent'anni della sua vita e in cui aveva tutte le sue frequentazioni. Così ebbe il tempo di fare da testimone alla nipote ed anche da madrina di battesimo al figlio della nipote e niente, Rosa restava operaia, apprendista quasi, con un aumento che le permetteva a stento di pagare i pannolini.
Altri erano i problemi di Omar, che un giorno pareva esser stato vicino così dal sistemarsi. Un cugino di suo padre, infatti, che parlava bene e che si era sempre circondato di brava gente, era consigliere regionale ed era stato eletto nella commissione trasporti. Quella posizione lo portò a stringere dei legami abbastanza vantaggiosi con le aziende di trasporto civile su gomma, settore che con quella commistione fetente tra privato e pubblico (faccio il privato coi soldi pubblici) era ed è sempre il verde giardino delle clientele.
Un posto si trovava vacante e, siccome tutti quelli che stavano in fila aspettando di lavorare da più tempo di Omar erano stati accontentati con qualche contratto a progetto, il turno dello sposo venne. Gli serviva però la patente D, quella che lo autorizzasse a guidare i pullman. Fu il padre di Omar a finanziare l'investimento: sei mesi di scuola guida, motorizzazione e tutto il resto, per la somma di duemila euro. Ma intanto il vento cambiò e, invece che in poppa, il partito del cugino ce l'aveva ormai in prua, anzi dritto in fronte. Inoltre, quella crisi economica di cui si sentiva parlare tanto alla televisione si tradusse infine in una realtà concreta anche in quella piccola città di provincia, impedendo a Omar di riciclarsi altrove. Soltanto, iscrivendosi ad un'agenzia interinale, aveva trovato lavoro come postino, per il mese di agosto, a rimpiazzare i postini in ferie.
L'annuncio del matrimonio arrivava poco dopo questi fatti. Quando papà Di Nardo andò a cercare lo spumante, pensò precisamente a questo, pur versando una lacrima: che dopo quell'investimento non fruttato, gli toccava anche finanziare quel matrimonio, visto che i due rampolli non avevano niente di loro e che dalla parte di lei c'era da cavare ancor meno che un fico secco. Pertanto, per non rovinare la gioia di quel momento ma per capire almeno quanto tempo aveva per raccimolare qualche spicciolo (e quanto tempo avevano i due per lasciar perdere quella pazza idea di sposarsi negli anni Dieci del XXI secolo), gli chiese: “E quando, il dolce momento?”.
Avevano pensato, i due, l'anno successivo, all'inizio dell'estate, perché ci fosse il tempo di sistemare tutto, visto che partivano da zero. La sera stessa non fu affrontato nessun altro argomento. E già mamma Di Nardo si chiedeva: ma dove andranno a vivere? Eppure, già doveva intuire a quale grossa croce la stesse inchiodando il figlio.
Infatti, appena riuscirono a mettere insieme due quattrini, i signori Di Nardo, un bel po' d'anni addietro (quando si riuscivano ancora a fare soldi in questo santo paese), decisero di comprare un suv e di andare a vivere in una casa che s'addicesse alla loro nuova condizione di arrivati, di nuovi ricchi: una sacrosanta casa, singola, una villa, tirata su da zero, col giardino intorno, lontana dai palazzi, col box auto, il giardino e la terrazza e senza quelle altre sozzure che i loro genitori, contadini, erano stati costretti a zappare, arare e seminare per trarne qualche scarso nutrimento. L'ostentazione della nuova ricchezza era tanto più grande quanto dura era stata la fame patita. Fecero, costruirono, pagarono e, poi, pagarono una seconda volta, col condono.
Ora, quei tre piani in cemento armato, raffazzonati alla buona dallo zio architetto, e quei centocinquanta metri quadrati, non erano forse troppi per mamma e papà Di Nardo, soli, avvicinandosi alla vecchiaia? I due vecchi si sarebbero quindi presto piegati all'idea di Omar di risistemare il piano terra, rompendo muri, rifacendo pareti, aprendo finestre, per farne un appartamento come si deve, dove si possa vivere e crescere dei bambini cristianamente. E in tutta cristianità e con nuovo abusivismo papà, figlio e parenti si diedero all'edilizia per qualche mese.
Venne il giorno del matrimonio e tutto andò come si doveva. Le ostriche all'ingresso del ristorante c'erano, i duecento e rotti invitati s'ingozzarono tanto da non poter mangiare la metà delle portate, i testimoni, secondo l'usanza un po' cafona che vigeva da quelle parti, offrirono le fedi agli sposi. Tutti fecero mostra dei loro vestiti, molti dei quali dovevano sfiorare, quanto al prezzo, un mese di salario della sposa. Ma la grande novità fu che i giovani invitati regalarono agli sposi, durante il banchetto, un harlem shake, animando notevolmente la sala.
Fu così che la nuova e felice vita di Maria Rosaria detta Rosa e Omar cominciò, in questo inizio di XXI secolo.

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